Strategia Bossi: fare il paciere

Dalla Rassegna stampa

L’ordine è chiaro: «La Lega deve essere l’elemento tranquillizzatore all’interno della maggioranza. E non deve cadere in provocazioni». A impartirlo ai suoi parlamentari il Capo in persona, Umberto Bossi. Una strategia ribadita anche ieri a Radio radicale: «Le elezioni anticipate ci saranno solo se le vuole la Lega e noi non le vogliamo», ha assicurato il Senatur prima di rivolgersi con toni concilianti a Fini: «Adesso è tutto preso a cercare di tamponare le beghe avvenute con Berlusconi e quindi si lascia andare a ragionamenti ai quali non crede nemmeno lui». Parole stranamente morbide quelle di Bossi, che solo pochi giorni fa aveva apostrofato il presidente della Camera come un «vecchio gattopardo democristiano».
Il motivo di questa apparente svolta è frutto del ragionamento del Senatur, che nei giorni scorsi ha mandato i suoi emissari, Cota e Calderoli, a parlare con Fini per strappargli una promessa sul suo voto favorevole nei confronti del federalismo: «Fini sa bene che a questo punto della storia occorre fare il federalismo fiscale», ha spiegato Bossi «altrimenti facciamo la fine della Grecia o anche peggio». E la linea morbida del leader leghista si è spinta fino alla difesa l’alleato anche contro gli attacchi personali sulla stampa: «Un politico deve lasciarselo scivolare addosso, deve far finta di niente. Impari da me che sono attaccato quotidianamente anche sul piano personale».
La posizione della Lega è chiara. Dalla sua ha sondaggi da capogiro secondo i quali, se si andasse a votare oggi, al Senato l’onda verde passerebbe da 26 a 40 senatori e alla Camera da 60 a un’ottantina di onorevoli. Eppure Bossi vuole allontanare con tutte le sue forze le elezioni anticipate, perché sa che la gente non capirebbe il ricorso alle urne per beghe interne al PdL e non per ragioni politiche e, nonostante le buone prospettive, teme che la prossima maggioranza, seppur di centrodestra, non avrebbe numeri quasi bulgari come quella che attualmente governa il Paese.
Poi ci sarebbe tutto il tempo perso sulla via del federalismo fiscale. Tra caduta del governo, eventuali mandati esplorativi, scioglimento delle Camere e campagna elettorale, ci vorrebbe almeno un anno per andare a nuove elezioni. Un’impasse che Bossi non può permettersi, perché quella del federalismo è la mission che il Nord ha dato nel 2008 agli uomini del Carroccio e che ha loro riconfermato alle ultime regionali consegnandogli Piemonte e Veneto e rafforzando il potere leghista nella Lombardia del federalista morbido Formigoni. Bossi, da abile giocatore di poker, sa di avere le carte per vincere la mano finale e non vuole buttarle via, magari per qualche parlamentare in più da portare a Roma. Anche perché sa che questa potrebbe essere l’ultima occasione concessagli. D’altro canto però Bossi è troppo scaltro per non sapere che, imboscata dopo imboscata, il voto anticipato è tutt’altro che immaginifico.
E anche per questa evenienza il Senatur ha pronta la strategia: consolidare l’immagine di una Lega di Governo che possa rappresentare una giusta alternativa per l’elettorato deluso dal PdL e per quell’ampia fetta di moderati che alle ultime regionali hanno scelto di non andare a votare. Oltre che, ovviamente, per gli elettori di un Fini cui addossare per intero la responsabilità della frattura.
Per questo Bossi punta alta normalizzazione della situazione. Se poi si dovesse proprio andare a votare, dovrà essere chiaro che la colpa non è né della Lega né sull’alleato Berlusconi, bensì di Fini. Il quale, nei pensieri di Bossi, dovrebbe fare la fine che fece Casini nel 2006 (fuori dall’alleanza e sostanzialmente ininfluente sugli equilibri politici del Paese), tornando a essere proprio il «vecchio gattopardo democristiano» descritto dal Senatur.

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