Gli stranieri senza voce

Rosarno diventa un caso diplomatico dopo che l´Egitto chiede al governo italiano di intervenire contro razzismo e discriminazione subiti dagli «immigrati e le minoranze arabe e musulmane in Italia».
Incidente non da poco. Non solo perché i rapporti tra Roma e il Cairo sono buoni e perchè avviene alla vigilia dell´incontro tra il ministro degli Esteri Frattini e il suo omologo egiziano Aboul Gheit ; ma perché, al di là della stessa vicenda calabra, mette in discussione , anche sul fronte della politica estera, l´efficacia del modello di gestione dell´immigrazione teorizzato e praticato dalla destra. Modello che, escludendo, o dilatando nel tempo, la cittadinanza per gli immigrati, consegna di fatto, agli Stati di cui sono cittadini, la loro rappresentanza politica. Favorendo un loro maggiore interventismo fuori confine.
Frattini cerca di rassicurare Il Cairo ricordando che le notti dei fuochi nella Piana non sono stare originate da questioni religiose e non avevano come specifico bersaglio gli egiziani; si è trattato di una, pure inaccettabile, «violenza normale». Riduttivismo terminologico, visto l´accaduto, che nulla toglie alla veridicità dell´affermazione. Nel Sud alle prese con un presente sempre uguale al passato non c´è tempo da perdere con nemici storici, come accade, invece, nelle lande padane dove, in ricordo di Lepanto, si brandisce la Croce come una spada contro i musulmani «invasori». Che nel mondo islamico abbia preso piede, molto prima di Rosarno, l´immagine di un´Italia in cui xenofobia e razzismo non trovano argine è incontestabile. La presenza al governo della Lega certo non giova. Come dimostra proprio il caso in questione. Se si voleva far rientrare la tensione diplomatica, le risposte di Bossi alle critiche egiziane non aiutano di certo. Anche se nel Belpaese si finge di dimenticarsene, fuori dai patri lidi tutti sanno che il Senatur non è solo capo di un partito ma ministro della Repubblica. «Guardate come loro trattano i cristiani: li fanno fuori tutti», afferma il ministro Bossi riferendosi, probabilmente, ai recenti incidenti tra musulmani e copti in Egitto. Paragone improprio; e non certo perché vada sottovalutata la violenza che ciclicamente esplode contro i cristiani in riva al Nilo: bene ha fatto, nella circostanza, il ministro Frattini a sollevare la questione. Presa di posizione che farà dire che la piccata critica egiziana è la prevedibile reazione alle sue parole.
Comunque sia, le critiche su Rosarno hanno implicazioni diverse. Non solo perché nella caccia allo straniero seguita alla «rivolta degli schiavi», sono coinvolti, come vittime, cittadini egiziani cui il governo italiano non ha saputo fornire protezione. Ma, soprattutto, perché il patto implicito all´italico modello di assimilazionismo senza assimilazione, che non prevede alcun accordo diplomatico ma una poco tacita intesa informale, delega la piena rappresentanza degli immigrati ai paesi di cui quei cittadini sono originari. Gestione che presuppone, nei fatti una cessione di sovranità interna. Stupirsi perché oggi l´Egitto, domani il Marocco o la Tunisia, «interferiscono» negli affari italiani è, dunque, ipocrita. Se l´Italia non vuole che paesi terzi protestino quando gli immigrati diventano oggetto di caccia all´uomo o subiscono palesi discriminazioni, dovrebbe imboccare un´altra via. Compresa quella di rendere cittadini a pieno titolo quanti vivono da tempo in Italia. L´altra strada, quella della delega esterna, che mira a fare degli immigrati degli eterni, estranei, presuppone la possibilità della critica, anche dura.
Critica che, quando si tratta di paesi della Mezzaluna con i quali l´Italia è interessata a mantenere, per necessità strategiche o interessi economici , rapporti di alto profilo, non sono mai indolori. Tanto più quando si evoca una xenofobia che prende il volto dell´islamofobia. Il rischio, nell´era del radicalismo globale, è quello di sovraesporre il Paese anche sul fronte della sicurezza. Ma, come dimostra anche la replica di Bossi agli egiziani, intenzionalmente definiti con criteri religiosi più che nazionali, ricordare a qualche esponente istituzionale la distinzione tra etica della convinzione ed etica della responsabilità è, nell´Italia di oggi, opera vana.
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