La strana estate del premier

«Ho lavorato come un cane, e per che cosa?». Questo pensiero si è insinuato, secondo suoi amici, come un dubbio, un tarlo, uno sconforto, una inquietudine, nell'estate del premier. Niente di che. Nulla che somigli a una crisi e ancor meno a una depressione. Il premier, nonostante tutto, assicurano gli amici, non conosce nemmeno il significato di questi termini. Il pensiero è piuttosto una sorta di malinconia. La sensazione gli è talmente addosso da essersi insinuata persino nei colloqui telefonici sulla situazione politica con il leader dell'Udc, Casini, con cui il premier si è lamentato di una estate «un po' solitaria, un po' triste» .
Estate anomala sicuramente, per un uomo che per carattere, stile di vita e passioni l'ha sempre vissuta come il momento in cui esprimere se stesso al meglio. La grande amputazione è stata la Sardegna. Il luogo dove Silvio Berlusconi aveva trovato il terreno (in senso letterale) su cui sviluppare la sua irrefrenabile tendenza alla espansione anche fisica, con le sette ville, i vulcani, i giardini, i bungalow. Il luogo che è diventato, a sua somiglianza, un modello di vacanze nuovo dalle fondamenta, plasmabile e plasmato, accessibile, fuori dai riti delle antiche località vacanziere, appesantite da secoli di reputazione, e torme di vecchie nobildonne, intellettuali biliosi, e notai supponenti.
La Sardegna è stata il luogo, per il nostro capo del governo, che più gli somigliava per questo era diventato la sua residenza del cuore, dove invitare chi voleva: le ragazze e i cantanti, certo, ma anche capi di Stato come Blair e Putin. Senza Villa Certosa, «violata» come dicono nell'entourage del leader dalle foto e dal pettegolezzo, l'uomo Berlusconi questa estate non ha trovato se stesso. Il castelluccio romano, uno dei tanti patetici manieri in affitto che puntellano i magri bilanci dell'aristocrazia della capitale, inserito in una spersonalizzata periferia, non è mai stato suo, e persino i pochi ricevimenti in onore delle onorevoli del Pdl sono state occasioni di maniera, con sorriso obbligatorio e nessun impegno.
Ci dilunghiamo nella questione case perché, come abbiamo imparato negli anni, il rapporto con il luogo dove vive è per Silvio Berlusconi un fondamentale elemento di espressione della propria personalità: in questo senso va ricordato il disagio che gli ha sempre suscitato Palazzo Chigi, e l'eccezionale spostamento dell'intera struttura di governo a Palazzo Grazioli. Non è forse dunque un caso se questa estate è poi inclinata verso una nuova casa sul lago, la austera e imponente Villa Campari, dove si sono ieri tenuti i colloqui più importanti di pre-apertura di stagione politica. Austera, imponente, dicevamo, e, come quasi tutte le residenze sui laghi, inesorabilmente triste.
Torna l'aggettivo.Il Cavaliere che abbiamo visto in questi mesi estivi è diverso dall'uomo che conosciamo. Un leader arrovellato, che non ha fatto uscite clamorose nella vita mondana, come dicevamo, ma nemmeno nella vita politica. Si è dato per scontato che siano state le difficoltà di questo periodo a renderlo quieto. In realtà è l'esatto contrario: notevole è questo semi-silenzio per un uomo che ogni volta che si è trovato alle strette ha sempre invece reagito urlando, sbattendo i pugni, invocando l'attenzione pubblica di tutti.
Si dirà che la battaglia politica contro i finiani (suo principale ma non unico cruccio estivo) l'hanno condotta altri per lui, ma anche questa delega non è esattamente nelle sue corde. Persino sul piano dell'immagine lo abbiamo visto cedere: pochi giorni fa si è presentato a Roma, in pubblico, con una tuta blu dimessa, un'apparente indifferenza al suo giro vita, con l'aria di chi davvero ha un po' sciolto la cintura. Va detto che la sua persona, per una volta non ingabbiata da un Caraceni, aveva per una volta una rara nota di autenticità.
Nella Capitale, dove ogni mossa ha mille occhi che la scrutano, questa malinconia del premier è stata certamente notata. Per i suoi avversari è un preavviso della sua fine politica. Per i suoi amici è invece il segno di quanto serio sia il dilemma in cui si trova. Fini prima e Bossi poi, come si è visto anche nei colloqui di ieri a Lesa, sono per Berlusconi come Scilla e Cariddi, così come lo sono le opzioni sulla legislatura che ha avanti: interromperla subito o continuarla zoppa.
Eppure, sia ha la sensazione che ci sia anche altro. Quel pensiero cui ci riferivamo all'inizio, il dubbio sulla inutilità di tutto quel che ha fatto, di cui parlano i suoi amici. È una riflessione forse normale per l'età, un'insoddisfazione che punge il cuore di tutti gli uomini e le donne nell'autunno della vita. Ma se la fa un leader, diventa una evidente confessione di paura, il timore che un grande progetto iniziato, sudato, sognato, non avrà fine. Quale sia questo progetto, poi, che sia il Quirinale, o la riforma della giustizia, o la trasformazione dell'Italia, non lo sappiamo. Ed è persino irrilevante. Rilevante è che l'uomo più potente d'Italia si affacci oggi dalla finestra della villa sulle acque piatte del lago, e vi veda riflessa, come tutti, la sua mortalità.
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