Strada, meno vittimismo

Superata Fonda emotiva dopo il rilascio dei tre italiani - e di cinque cooperanti afghani su sei ma di questi ci si emoziona meno, come dice Emma Bonino - e nelle more degli accertamenti in Italia, è il caso di tenere i riflettori accesi ancora un momento sul ruolo di Emergency nelle zone di guerra.
Com’è noto, da Henri Dunant in poi, ci sono due comportamenti fondamentali da seguire per qualsiasi umanitario che operi sul terreno: l’imparzialità del soccorso, che giustamente Emergency rivendica di praticare, e la neutralità "politica", senza la quale si rischia di perdere credibilità e quindi efficacia. Decidere di interporsi tra le parti, anche a fin di bene, per esempio mediando per il rilascio di un ostaggio, comporta questo rischio. Perché? Perché per raggiungere l’obiettivo occorre accettare compromessi, e i compromessi a loro volta comportano un prezzo che solo un organismo politico - un governo o un’organizzazione multilaterale - può permettersi di pagare. Certamente non una ong, se vuole rimanere imparziale e neutrale.
Si prenda il caso Mastrogiacomo che ha visto il coinvolgimento di Emergency: in cambio della sua liberazione furono, tra l’altro, scarcerati alcuni talebani, di cui uno di primissimo piano; e, come in molti hanno ricordato in questi giorni, l’interprete di Mastrogiacomo, Ajmal Naqashbandi, fu giustiziato successivamente dai talebani stessi. Com’è altrettanto noto, Gino Strada, diversamente da quasi tutta la comunità delle ong, è molto vocal, come dicono gli anglosassoni. Insomma, non perde occasione per dire la sua. E sarà pure un pacifista ma, a sentirlo, è in perenne "guerra" con il mondo intero. Tranne lui, sono tutti dalla parte del torto: la Nato, gli alleati europei, Karzai, gli Stati Uniti... Contro i talebani invece, pur conoscendoli bene essendo tra i pochi umanitari autorizzati a operare durante il loro regime teocratico e misogino, la sua voce si sente meno.
Stesso copione in Iraq. Nel 1997, con una delegazione dell’Unione europea, guidata da Emma Bonino (c’era anche Staffan De Mistura, allora rappresentante Onu a Baghdad, oggi a Kabul con la stessa funzione), visitai il centro chirurgico di Emergency a Sulaimaniya, nel lmrdistan iracheno. Arrivammo in un momento di grande concitazione e commozione perché il capo degli sminatori locali era saltato su di una mina e Strada era trattenuto in sala operatoria. Non c’è dubbio: un lavoro ammirevole. Ma, ieri come oggi, Strada ne aveva per tutti: i burocrati dell’Onu e della Ue, gli americani, gli alleati della coalizione... Meno per il regime sanguinario di Saddam Hussein.
O prendiamo il Sudan, altra zona di guerra dove Emergency è attiva. Nel bilancio 2008 (accessibile sul sito www.emergency.it), Emergency tiene a sottolineare di «non ricevere finanziamenti da organismi sovranazionali» - come per dire: «Avete visto come siamo indipendenti?» precisando però di aver ricevuto, per le sue operazioni sudanesi, finanziamenti dal regime (dittatoriale) di Karthoum guidato da Omar al-Bashir (mandante del genocidio nel Darfur e ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di e crimini contro l’umanità), oltre che - si legge nel bilancio 2007 - «la concessione ventennale del terreno sul quale è stata costruita la struttura» e la cui attività prevede «il coinvolgimento diretto delle autorità locali nel sostegno del progetto». Altrimenti detto: pur di esserci, Emergency non guarda in faccia a nessuno. E, fuor di metafora, sparare su Emergency non è come sparare sulla Croce Rossa: a guardare il suo bilancio ha uno stato patrimoniale solido e raccolte fondi invidiabili, in caso mobilita le piazze come neppure Berlusconi, ha sponde politiche ai più alti livelli in Italia e per Strada le porte degli studi televisivi sono sempre spalancate. Quindi meno vittimismo per favore.
Nessuno vuole impedire ad Emergency di curare tutti, indipendentemente dalla fazione di appartenenza, come fa silenziosamente da più di un secolo la Croce Rossa internazionale, o come più semplicemente imposto dal giuramento d’Ippocrate, ma il suo fondatore deve decidere se vuole fare l’umanitario o l’attivista. Le due cose insieme non vanno: grazie a Henri Dunant, è dalla battaglia di Solferino che lo sappiamo. Pierluigi Battista sul Corriere della Sera ha invocato un Dr. Schweitzer che non c’è; ha ragione, un po’ più di umiltà e un po’ meno di attivismo, aiuterebbe anche Emergency a tutelare quanto di buono fa in giro per il mondo.
In questa vicenda, capitolo a parte merita il nostro ministro degli esteri Frattini: dopo il rilascio si è messo a dare pagelle, per esempio riconoscendo al Pd di aver tenuto «un atteggiamento sobrio e prudente», che è l’esatto contrario di quello da lui stesso tenuto i primi giorni degli arresti. Questa è un’altra storia ma forse una che l’opposizione in parlamento non dovrebbe lasciar cadere del tutto.
Com’è noto, da Henri Dunant in poi, ci sono due comportamenti fondamentali da seguire per qualsiasi umanitario che operi sul terreno: l’imparzialità del soccorso, che giustamente Emergency rivendica di praticare, e la neutralità "politica", senza la quale si rischia di perdere credibilità e quindi efficacia. Decidere di interporsi tra le parti, anche a fin di bene, per esempio mediando per il rilascio di un ostaggio, comporta questo rischio. Perché? Perché per raggiungere l’obiettivo occorre accettare compromessi, e i compromessi a loro volta comportano un prezzo che solo un organismo politico - un governo o un’organizzazione multilaterale - può permettersi di pagare. Certamente non una ong, se vuole rimanere imparziale e neutrale.
Si prenda il caso Mastrogiacomo che ha visto il coinvolgimento di Emergency: in cambio della sua liberazione furono, tra l’altro, scarcerati alcuni talebani, di cui uno di primissimo piano; e, come in molti hanno ricordato in questi giorni, l’interprete di Mastrogiacomo, Ajmal Naqashbandi, fu giustiziato successivamente dai talebani stessi. Com’è altrettanto noto, Gino Strada, diversamente da quasi tutta la comunità delle ong, è molto vocal, come dicono gli anglosassoni. Insomma, non perde occasione per dire la sua. E sarà pure un pacifista ma, a sentirlo, è in perenne "guerra" con il mondo intero. Tranne lui, sono tutti dalla parte del torto: la Nato, gli alleati europei, Karzai, gli Stati Uniti... Contro i talebani invece, pur conoscendoli bene essendo tra i pochi umanitari autorizzati a operare durante il loro regime teocratico e misogino, la sua voce si sente meno.
Stesso copione in Iraq. Nel 1997, con una delegazione dell’Unione europea, guidata da Emma Bonino (c’era anche Staffan De Mistura, allora rappresentante Onu a Baghdad, oggi a Kabul con la stessa funzione), visitai il centro chirurgico di Emergency a Sulaimaniya, nel lmrdistan iracheno. Arrivammo in un momento di grande concitazione e commozione perché il capo degli sminatori locali era saltato su di una mina e Strada era trattenuto in sala operatoria. Non c’è dubbio: un lavoro ammirevole. Ma, ieri come oggi, Strada ne aveva per tutti: i burocrati dell’Onu e della Ue, gli americani, gli alleati della coalizione... Meno per il regime sanguinario di Saddam Hussein.
O prendiamo il Sudan, altra zona di guerra dove Emergency è attiva. Nel bilancio 2008 (accessibile sul sito www.emergency.it), Emergency tiene a sottolineare di «non ricevere finanziamenti da organismi sovranazionali» - come per dire: «Avete visto come siamo indipendenti?» precisando però di aver ricevuto, per le sue operazioni sudanesi, finanziamenti dal regime (dittatoriale) di Karthoum guidato da Omar al-Bashir (mandante del genocidio nel Darfur e ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di e crimini contro l’umanità), oltre che - si legge nel bilancio 2007 - «la concessione ventennale del terreno sul quale è stata costruita la struttura» e la cui attività prevede «il coinvolgimento diretto delle autorità locali nel sostegno del progetto». Altrimenti detto: pur di esserci, Emergency non guarda in faccia a nessuno. E, fuor di metafora, sparare su Emergency non è come sparare sulla Croce Rossa: a guardare il suo bilancio ha uno stato patrimoniale solido e raccolte fondi invidiabili, in caso mobilita le piazze come neppure Berlusconi, ha sponde politiche ai più alti livelli in Italia e per Strada le porte degli studi televisivi sono sempre spalancate. Quindi meno vittimismo per favore.
Nessuno vuole impedire ad Emergency di curare tutti, indipendentemente dalla fazione di appartenenza, come fa silenziosamente da più di un secolo la Croce Rossa internazionale, o come più semplicemente imposto dal giuramento d’Ippocrate, ma il suo fondatore deve decidere se vuole fare l’umanitario o l’attivista. Le due cose insieme non vanno: grazie a Henri Dunant, è dalla battaglia di Solferino che lo sappiamo. Pierluigi Battista sul Corriere della Sera ha invocato un Dr. Schweitzer che non c’è; ha ragione, un po’ più di umiltà e un po’ meno di attivismo, aiuterebbe anche Emergency a tutelare quanto di buono fa in giro per il mondo.
In questa vicenda, capitolo a parte merita il nostro ministro degli esteri Frattini: dopo il rilascio si è messo a dare pagelle, per esempio riconoscendo al Pd di aver tenuto «un atteggiamento sobrio e prudente», che è l’esatto contrario di quello da lui stesso tenuto i primi giorni degli arresti. Questa è un’altra storia ma forse una che l’opposizione in parlamento non dovrebbe lasciar cadere del tutto.
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