Articolo di Martino Cervo pubblicato su Libero, il 27/11/09
Il Parlamento si è occupato di un farmaco. L’«originalità» del fatto (l’Aula che delibera sulla pillola Ru486) rilevata polemicamente dal Presidente della Camera tre mesi fa ieri è diventata reale al Senato, la cui Commissione Sanità ha approvato a maggioranza (PdL, Lega e Udc favorevoli, Pd contrario) un documento in cui si chiede lo stop della procedura di commercializzazione della pillola abortiva in attesa del parere del ministero competente sulla compatibilità con la legge 194. Come detto, la sinistra ha votato "no", con un paradossale attacco alla norma sull’aborto, della quale si richiede di verificare la completa applicazione. Il testo licenziato ieri dalla Commissione presieduta dal pidiellino Antonio Tommasini è il fratto finale dell’indagine conoscitiva avviata quest’estate anche grazie all’impegno diretto di Maurizio Gasparri, capogruppo del primo partito di maggioranza a Palazzo Madama. Forti del parere di medici ed esperti in materia, e soprattutto sulla scorta di documentazioni e ricerche internazionali sull’utilizzo e le conseguenze della somministrazione della pillola (con 29 decessi sospetti), il documento invita il ministero a pronunciarsi sui punti critici della 194. Il nodo resta quello dell’obbligatorietà del ricovero, considerata argine a una somministrazione "facile" del farmaco abortivo.
IL NODO DEL RICOVERO
Dopo la delibera dell’Agenzia del Farmaco, che aveva dato il via libera alla commercializzazione, si sono verificati numerosi casi (documentati anche da una serie di inchieste come quella del settimanale Tempi) di somministrazioni a donne senza ricovero e senza forme di assistenza. Pratiche ritenute in potenziale contrasto con la legge 194.Achiarire cosa concretamente significhi il sì del Senato è il sottosegretario Eugenia Roccella, che ha seguito l’intero iter: «Il percorso non sarà lungo, si tratta di formulare un parere del governo che stabilisca a quali condizioni la pillola possa essere compatibile con la legge 194: al massimo una settimana. Poi c’è da fare un Cda dell’Aifa. Il problema è garantire per le donne tutti i profili di sicurezza, a partire dal ricovero in ospedale». Tempistica confermata dal ministro competente, Maurizio Sacconi: «La coerenza con la legge 194», ha poi aggiunto il titolare del Welfare, «si realizza solo se c’è il ricovero ospedaliero ordinario per tutto il ciclo fino all’interruzione verificata della gravidanza. Un processo che invece avvenisse al di fuori di questo contesto sarebbe una violazione della legge 194. Bisognerà dunque dar vita a un monitoraggio rigoroso, perché se nei fatti si verificasse l’elusione sistematica di quella disposizione, noi dovremmo sollevare il problema della incompatibilità strutturale tra la legge 194 e il processo farmacologico». Dopo il pronunciamento del governo, i cui contenuti appaiono molto chiari, toccherà dunque di nuovo all’Aifa pronunciarsi con una nuova delibera dopo la prima che, comeprevisto dal Parlamento, si esprima favorevolmente sulla commercializzazione della Ru486.
DISSENSO NEL PDL
Due i temi centrali: sul lato pratico, la possibilità tecnica di distribuire la pillola (al momento sospesa pro tempore, ma i radicali si dicono certi che continuerà a essere venduta), che esce ridotta ma non azzerata in questa fase. Difficilmente infatti l’Aifa smentirà il pronunciamento precedente, anche se il doppio richiamo incrociato potrebbe prevedere diktat più rigorosi in termini di divieto di day hospital e obbligo di assistenza perle pazienti. Il secondo nodo è politico: la divisione "semplice" tra maggioranza (e Udc, il cui plauso ieri è stato espresso da Rocco Buttiglione) e opposizione verificatasi in Commissione è un po’ più complicata nel resto dell’Aula. A parte la logica soddisfazione delle associazioni cattoliche, se la sinistra ha attaccato frontalmente il documento con toni che vanno dalla «cinica battaglia politica a spese delle donne» (Finocchiaro) alla «furia oscurantista» (Maurizio Turco), dalla «perdita di tempo» all’atto «contro lo Stato di diritto», ricompattando tutti fino a Cgil e Rifondazione, mettendo assieme Rosy Bindi («scelta senza laicità») e Pier Luigi Bersani («non sta al Parlamento fare il dottore») nel centrodestra il "dissenso" è stato capitanato da Fabrizio Cicchitto, capogruppo pdl alla Camera, che si è detto contrario allo stop alla commercializzazione. A lui si è accodata con Margherita Boniver l’ala ormai bollata come "finiana", che ha dato il destro al vice di Gasparri, Gaetano Quagliariello, per ironizzare: «Non siamo una caserma».
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