La stessa pelle

Dalla Rassegna stampa

Non si riesce a trovare una strada per ricondurre la vita politica italiana sui binari dell’ordinaria tensione tra parti contrapposte. Lo scontro in atto, infatti, è senza esclusione di colpi e rappresenta l’ultimo passaggio di un lungo percorso in cui a turno, negli ultimi quindici anni, le forze attualmente all’opposizione, in vario modo, hanno cercato, senza riuscirvi, di venire a patti con la rivoluzionaria ed incontrollabile presenza di Berlusconi nell’arena politica. Gli errori e i ritardi della Sinistra nel comprendere ed affrontare questo nuovo tipo di leadership, che si è imposto nella fase post-ideologica avviata dalla fine della guerra fredda, hanno garantito il consolidamento della strategia di lunga durata del Cavaliere (sia a livello culturale sia sul piano della strategia politica), finalizzata alla mutazione degli assetti della costituzione repubblicana. Che le riforme costituzionali siano necessarie lo pensano in molti, il problema, però, è che potrebbe risultare molto costoso in termini di unità nazionale farle nell’attuale clima politico e sociale. Sarebbe come decidere di fare un intervento chirurgico su un paziente debilitato e con la febbre alta. Il fatto è che ci troviamo di fronte ad un insormontabile paradosso: l’unico uomo legittimato dalla sua costante capacità di riscuotere un largo consenso ad avviare un condiviso mutamento della Costituzione è anche il meno adatto in quanto gran parte dei cambiamenti auspicati e progettati sono, in tutta evidenza, misure che riguardano direttamente la sua persona e i suoi interessi.
 
Non aver voluto cambiare “pelle” è stato il vero limite del Berlusconi politico ma, a dire il vero, anche la ragione del successo del suo appello al popolo di questi anni. Il leader del Popolo della Libertà è, infatti, rimasto uomo-azienda, legato al proprio patrimonio e alla propria impresa e, dunque, anche a tutto ciò che quelle attività a così alto livello di esposizione comporta, guai giudiziari compresi. La scelta di rimanere “cummenda”, imprenditore d’immagini, collettore di pubblicità l’ha portato a non identificarsi mai con le istituzioni e questo, se vogliamo, gli ha sempre permesso di presentarsi agli elettori come uomo di lotta e di governo, a seconda delle convenienze. Come si può quindi non pensare che il Presidente del Consiglio che invita a boicottare il canone Rai è anche il proprietario della azienda concorrente? Chi riesce ad essere così puro da credere che l’ira di Berlusconi nei confronti della magistratura non abbia alcun collegamento con i processi a cui ora dovrà sottoporsi? Eppure entrambe le questioni, quello della qualità del servizio pubblico pagato con i soldi dei contribuenti e quello delle pericolose interferenze tra magistratura e potere politico, che facilmente possono determinare le sorti di un governo, sono problemi effettivi su cui sarebbe opportuno ed urgente riflettere. E’ proprio la presenza di Berlusconi, tuttavia, che paradossalmente ne ha facilitato l’emersione ma, allo stesso tempo, ne impedisce la soluzione. Siamo allora al problema originario: il conflitto d’interessi, per troppo tempo vilmente temuto dalla destra e ignorato dalla sinistra. Il fatto che ci sia è però indubbio. Quello su cui si diverge è quanto il voto degli italiani possa o no renderlo sopportabile. Il leader della Destra ritiene che gli attacchi giudiziari al suo operato, come proprietario della Fininvest, siano il frutto della sua discesa nell’arena politica, ma tale valutazione è speculare alla convinzione opposta di chi pensa che il suo impegno in politica sia stato condizionato dalle sue vicende aziendali. Il Cavaliere non concepisce, lo si è visto recentemente in occasione della disputa con il Presidente della Repubblica, l’idea che ricoprire un ruolo istituzionale possa e, in molti casi, persino, debba modificare qualcuno, sino al punto da fargli mettere da parte convinzioni, fedeltà ed interessi personali. Questo è e rimarrà il suo limite. Berlusconi è, ormai, indisponibile per carattere, storia e cultura ad abbracciare un interesse istituzionale collettivo; il che non significa che non possa e non debba prendere anche misure utili alla collettività, come è già accaduto, ma che queste misure valgono in quanto subordinate alle sue esigenze, così come i comportamenti e le parole dell’uomo delle istituzioni democratiche non prevarranno mai sui suoi istinti personali. Il fatto che tutto ciò sia anche la sua forza elettorale magari ci dovrà far riflettere. Per adesso, dunque, nessuna via d’uscita. I pontieri sono al lavoro, ma non si intravedono soluzioni: ciò comunque non significa stasi ma potenziali, seri, pericoli sì.

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