Lo Stato di diritto ci chiede di firmare i referendum radicali

È in corso a livello nazionale una campagna referendaria promossa dai radicali. Contestualmente l’associazione Radicale Luca Coscioni è impegnata, anch’essa in tutta Italia, in una proposta di legge di iniziativa popolare per legalizzare l’eutanasia.
I temi sono quelli che ci si aspetta da loro, ma sono anche quelli che qualunque autorevole sondaggio rileva tra gli interessi di gran parte degli italiani. Si va dall’abolizione del carcere per i fatti di lieve entità relativi alle droghe, alla custodia cautelare, all’abrogazione dell’ergastolo, alla separazione delle carriere dei magistrati, alla loro responsabilità civile, ai magistrati fuori ruolo, all’eliminazione del finanziamento pubblico (pardon, “rimborsi elettorali”) ai partiti, al divorzio breve, alla drammatica questione degli immigrati in Italia, fino all’8×1000.
Argomenti certo di grande impatto e, possiamo dirlo, di immediata comprensione, perché toccano molto da vicino tutti noi. Lo spirito delle iniziative davvero riformistiche deve essere sempre quello di regolamentare fenomeni sociali, comunque esistenti e altrimenti abbandonati all’anarchia dell’illegalità, affinché trionfi lo Stato di Diritto. In un momento particolare per l’andamento del sistema Giustizia diventa obbligatorio affrontare i problemi con l’intelligenza e il comune sentire. Le carceri, disumanamente inadeguate, rappresentano una tragica e paradigmatica appendice di tale sfascio. Non è legittimo né razionale, in questo contesto, continuare a detenere chi faccia uso di droghe (quelle ancora proibite), almeno per i fatti di lieve entità, senza pericolo sociale.
Spesso ci lamentiamo del malfunzionamento della giustizia e lo facciamo, è il caso di dirlo, a buon diritto. Eppure qua e là potremmo snellire qualcosa: le procedure di divorzio, per esempio. Perché 3 anni (almeno) dopo la separazione? Fermo restando che chiunque voglia attendere può sempre farlo. Ormai il congestionamento della giustizia è metastatico: come si può pretendere che le ragioni e il diritto abbiano la meglio contro i torti di chi può economicamente permettersi di mandare i processi per le lunghe? Tant’è che, in quest’ottica, taluni magistrati scelgono, col peggior paternalismo, di far scontare un po’ di carcere in attesa di giudizio, giungendo ad un perverso compromesso tra processi troppo lunghi, impunità ed esecuzione della pena. Poco importa se in seguito sarà dichiarata l’innocenza del malcapitato. A questo punto si può dire che i magistrati che hanno pagato per i loro errori si contano sulle dita della mano di un monco. Così come possiamo immaginare di non sentirci propriamente garantiti dinanzi ad un giudice il cui ufficio condivide una parete con quello del pubblico ministero che ci accusa. Per non parlare dei magistrati fuori ruolo, finiti ai vertici delle più alte amministrazioni. O dell’ergastolo, incostituzionale nei termini e in alcune democrazie neppure contemplato.
Non vi interessa tutto questo? Ok, allora passiamo agli altri punti.
Reato di clandestinità: colpisce una condizione e non una condotta. Non volete altri immigrati in Italia? Facile a dirsi, ma non si può fare, sia che si parli dei gommoni, sia che si parli dei disperati appesi ai camion. Non li volete, non li volete, e basta? Sembrerà strano, ma non è possibile fare gli struzzi: bisogna guardare in faccia la realtà. Specie in tempi di crisi e disoccupazione. Ad esempio: immaginate oggi un imprenditore, praticamente alla frutta, che per assumere personale sia costretto a scegliere tra un italiano, con il relativo malloppo di carte e contributi, e un immigrato clandestino da pagare “in nero”. Di fatto, secondo voi chi sarà scelto?
Parlando di crisi il pensiero corre repente ai partiti e ai rimborsi elettorali (né soltanto rimborsi né soltanto elettorali), cresciuti a dismisura nel tempo e non esattamente in linea con l’attuale richiesta di sacrificio generale (chi scrive ebbe modo di elaborare il primo dossier completo al riguardo dal ’94 all’anno scorso, consultabile qui http://www.radicali.it/primopiano/20120415/esclusivo-finanziamento-pubblico-tutti-soldi-partiti). Togliendo i soldi ai partiti, la politica la faranno solo i ricchi? Beh, in questo caso abbiamo almeno un’eccezione illustre. E poi, basterebbe mettere un tetto ad eventuali donazioni, permettendo solo alle “persone fisiche” di finanziare la politica in cui credono. In fondo, un’azienda mica vota!
In realtà, politica e partiti non sono necessariamente sinonimi. L’anomalia illiberale sta nell’erogazione diretta e non mediata di fondi dallo Stato ai partiti. Proviamo per un momento a immaginare un mondo in cui i cittadini stessi possano fare politica, avendo a disposizione gli autenticatori e i moduli copiativi necessari alle loro iniziative e campagne. Effettivamente, non sarebbe poi così male.
Dulcis in fundo, l’8×1000, che invero serve anche per le cosiddette “opere di bene”. Tuttavia, avete presente quando non scegliete in maniera espressa in favore di chi andrà? Ecco, voi rappresentate più o meno la metà degli italiani, che quantificato in pecunia diventa circa 600 milioni di €/anno. Il 90% di tale somma va alla Conferenza Episcopale Italiana. Automaticamente.
Sembrano cose molto diverse tra loro, ma a ben vedere tutte riconducibili ad un medesimo principio. È sempre quello, come illo tempore per il divorzio e l’aborto. Libertà di scelta, questo deve essere garantito, cosicché ciascuno di noi possa decidere in scienza e coscienza, nel rispetto delle regole. Per esempio, decidere come curarsi ed eventualmente come morire, senza vedere il proprio corpo sequestrato dallo Stato. Perciò l’associazione Luca Coscioni propone la legalizzazione (!), su iniziativa popolare, dell’eutanasia. È ovvio che se, invece, vuoi bere l’amaro calice fino in fondo, rimane tra i tuoi diritti.
Almeno una delle questioni di cui sopra appartiene al nostro vissuto, alla nostra esperienza, al nostro portato personale. 500 000 sono le firme necessarie alla realizzazione dei referendum e 50 000 per l’iniziativa popolare, in tutta Italia e fino a settembre.
© 2013 Gli Altri. Tutti i diritti riservati
SU