Spunta l'asse Prodi-Chiamparino

Senza dubbio è una bella pietra lanciata nello stagno, ma in questa fase nessuno si pone come obiettivo quello di scalzare Bersani». Dopo una giornata passata tra le colline liguri, Sergio Chiamparino fa un sobbalzo quando sente le parole spese da Romano Prodi sul Messaggero, «l’attuale struttura nazionale del Pd non serve più, troppo autoreferenziale. Serve un partito federale». Un intervento, quello del fondatore dell’Ulivo, mirato a ricostruire la struttura del Pd, con un leader nominato da un esecutivo composto «esclusivamente dai segretari regionali, senza le infinite code di benemeriti e aventi diritto, compresi gli ex segretari del partito e gli ex presidenti del Consiglio». Insomma un «politburo» di venti pezzi grossi che trovano legittimità dalle primarie. «E un conto sono le primarie con il principio delle scatole cinesi, con candidati decisi in base alla spartizione tra le correnti, altro conto sarebbe il percorso indicato da Prodi», ragiona il sindaco di Torino. Il quale, giusto il 7 aprile scorso, disegnava il modello di «un partito affidato a sindaci e governatori, azzerando caminetti e correnti, con una sua unità nazionale data dall’insieme di partiti radicati sul territorio, capaci di scelte autonome sui programmi e anche sulle alleanze».
Naturale dunque chiedergli se questo inedito asse sia frutto di qualche scambio di idee. «No, assolutamente, ma è vero che la filosofia è proprio la stessa». Insomma, questa «pietra nello stagno» diventa subito un caso, proprio nei giorni in cui tutti si chiedono quale possa essere il «papa straniero» invocato dal direttore di Repubblica per salvare le sorti del centrosinistra, come fece appunto Prodi nel’96. Un caso che suscita commenti, a volte caustici, nella galassia variegata del Pd. Uno che con Prodi fece il ministro, ma che non è mai stato troppo tenero con lui, per via dei rapporti conflittuali con Rutelli e la Margherita, è Paolo Gentiloni, oggi in prima fila dentro il «correntone» di Veltroni e Franceschini. «Più che il merito della sua proposta, che può essere ragionevole, è significativo il fatto che si occupi del Pd. In un paese gerontocratico, mentre si parla di elezione diretta del premier, non mi stupirebbe se qualcuno si alzasse per dire che quel "papa straniero" potrebbe essere ancora Romano, che di sicuro pensa di essere una riserva della Repubblica. Certo da quello che scrive non sembra faccia il tifo per Bersani». Gentiloni aggiunge una postilla al vetriolo che mostra come il leader sia ormai stretto tra due fuochi. «D’altronde, anche se chi mette in discussione il segretario in questa fase è un pazzo, è indubbio che la linea su cui ha vinto il congresso, e cioè "allargare le alleanze", esce da questo voto, se non azzerata, molto ridimensionata e quindi andrà rivista».
Dalle parti di Bersani la musica è un’altra e tocca al numero uno della segreteria diffonderla nell’etere. Se dal Pdl, ma anche dalla nave del Pd, partono siluri del tipo «ora Prodi vuole liquidare Bersani», Migliavacca li respinge sdegnato: «Sciocchezze. Quello di Prodi è un contributo utile a disegnare una strada di riforma in senso federalista dello Stato e a costruire un partito più radicato e capace di valorizzare dal basso le migliori esperienze». In ogni caso «un disegno di lungo termine, ma già da adesso si possono fare passi significativi in questo senso». Quali? «Vedrete», risponde sibillino il braccio destro del leader, forte anche della spiegazione data dall’ex sottosegretario di Prodi, Richi Levi, secondo il quale Bersani era stato avvertito dal Professore che in realtà «gli ha alzato una palla». E non stupiscono
quindi le tiepide reazioni con cui anche gli esponenti della minoranza, di fede «mariniana» o «fassiniana», cioè i «lealisti», hanno accolto la «road map» del Professore.
Il cattolico Beppe Fioroni la liquida dicendo che «oggi il Pd non ha bisogno di formule organizzative o di schemi regolamentari». E l’ex Ds Marina Sereni è sulla stessa linea. Una cosa è certa: quando domani Bersani riunirà i segretari regionali, le parole dell’ex premier aleggeranno in sala, e lo stesso avverrà sabato quando la Direzione del Pd dovrà discutere di riforme e del perché il Pd ancora una volta non ha vinto.
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