Spot radicale, l’Australia lo bocciò

Dalla Rassegna stampa

In Australia l’hanno bocciato due volte, in Canada una, in Nuova Zelanda è sotto stretta osservazione. Per essere promosso senza troppo clamore, lo spot proeutanasia si è dovuto trasferire in Italia, dove nessun garante o chi per esso ha ravvisato gli estremi per impedirne la messa in onda. Così lo spot dell’Associazione radicale Luca Coscioni - traduzione dell’originale prodotto da Exit International in Australia - è andato in onda sulle frequenze dell’emittente toscana Rtv38 con cinque passaggi al giorno, in programmazione notturna, dal 25 al 31 gennaio.
La decisione della Cda, l’authority di vigilanza istituita da Free Tv Australia per valutare gli spot pubblicitari televisivi e concedere o meno il via libera preventivo alla messa in onda, è stata invece inappellabile nel bocciare per ben due volte nel giro di due settimane la pubblicità che promuove la scelta eutanasica. Le motivazioni dell’organismo di garanzia fanno riferimento direttamente alla sezione 2.17.5 del Commercial television industry code of practice», dove si afferma che: «La rappresentazione realistica di metodi suicidari o di promozione o di incoraggiamento al suicidio non è idonea alla messa in onda».
Alison Lee, legale di Free Tv, ha rilasciato una dichiarazione che non lascia margine a dubbi: «Abbiamo ritenuto che una pubblicità per l’eutanasia volontaria sia una promozione o incoraggiamento del suicidio così come l’eutanasia volontaria dovrebbe essere considerata un sottoinsieme del suicidio».
 
Anche in Canada la Television broadcasting Canada (Tbc) si è espressa con toni molto simili per vietare la messa in onda del video, che, nelle intenzioni di Exit International, doveva servire da apripista nel Paese nordamericano per promuovere proprio l’attività dell’associazione.
Anche in questo caso, la giustificazione giuridica addotta per il divieto di programmazione dello spot si è basata sull’esplicita violazione del diritto canadese che non consente il suicidio assistito. Non solo. La Epc, Euthanasia prevenction coalition, per voce del suo direttore esecutivo, Alex Schadenberg si è opposta con fermezza anche ai workshop previsti sul territorio che vedono protagonista il dottor Philip Nitschke, medico australiano fondatore e direttore di Exit. «Non ha senso che a quest’uomo debba essere consentito di favorire il suicidio in Canada quando è illegale», ha dichiarato Schadenberg, «Non credo che dovrebbe avere il diritto di fare qualcosa che è in contrasto con il codice penale».
 
Argomentazioni affini potrebbero essere invocate anche nel nostro Paese. Non risultano infatti abrogati né l’articolo 579 del codice penale «omicidio del consenziente», né l’articolo 580 «istigazione o aiuto al suicidio». Potrebbe altresì essere utile fare riferimento al Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Per esempio ricordando l’articolo 8 del testo: «La comunicazione commerciale deve evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura». Oppure appellandosi all’articolo 46, che, riferendosi esplicitamente alla pubblicità sociale, afferma, tra l’altro, che i messaggi non devono «sfruttare indebitamente la miseria umana nuocendo alla dignità della persona, né ricorrere a richiami scioccanti tali da ingenerare ingiustificatamente allarmismi, sentimenti di paura o di grave turbamento». E quale paura è più forte del morire nella sofferenza?

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