Spiegare o dimettersi

Non è una buona notizia per la democrazia sapere che un ministro della Repubblica è finito nell’inchiesta sulla «cricca» del G8 all’Aquila. Per questo, da garantisti, ci auguriamo che il coinvolgimento di Claudio Scajola in quella brutta storia di corruzione e malaffare si risolva in una «bolla di sapone», come si è affrettato a scommettere il premier. Ma gli elementi a carico del ministro sembrano pesanti: secondo i pm, ci sono le prove testimoniali che Scajola avrebbe usato gli assegni circolari messi a disposizione da Anemone (non si sa a che titolo) per comprare un appartamento a due passi dal Colosseo.
Profili giudiziari a parte, c’è un obbligo di chiarezza al quale un servitore dello Stato non può sottrarsi. Se ll ministro si ritiene vittima di «un’intimidazione», non può limitarsi a parlare di «attacco inspiegabile»: ha il dovere di spiegare se la compravendita immobiliare che lo riguarda è vera o è falsa.
Se è convinto che dietro ci sia un misterioso «disegno preordinato», non può limitarsi a evocare «oscuri manovratori»: ha il dovere di spiegare ciò che sa di questo «complotto» e chi sono i «complottisti». Ma se invece non è in grado di fornire al Paese queste spiegazioni, Scajola ha invece un altro dovere: dimettersi. Si chiama etica della responsabilità, ed è l’essenza della ragion politica.
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