Spari sugli italiani Tripoli sospende il comandante della nave

Dalla Rassegna stampa

 

In Libia il comandante della motovedetta che ha sparato contro il motopesca "Ariete" è stato sospeso dal servizio e tutto l'equipaggio libico si trova sotto interrogatorio. La notizia, anticipata in serata ai media italiani da Tripoli, è stata confermata da un comunicato del ministero degli Esteri libico: «Il Comitato generale per le comunicazioni estere e la cooperazione internazionale dichiara che la Commissione speciale istituita per indagare sullo spiacevole incidente che riguarda gli spari contro il peschereccio italiano da parte di una motovedetta libica domenica 12 settembre ha iniziato il suo lavoro, e che il comandante della motovedetta libica è stato sospeso dal servizio e messo sotto interrogatorio». Un chiaro segnale del tentativo - anche da parte di Tripoli - di gestire la crisi con l'Italia. Dove, intanto, i pescatori accusano di essere stati oggetto di sparatorie da parte dei libici già in altre occasioni mentre i finiani criticano il governo («L'aggressione al peschereccio è l'effetto perverso di una diplomazia anomala con Gheddafi», tuona Carmelo Briguglio, del gruppo Fli alla Camera). «Sono anni - denuncia Giampaolo Buonfiglio, dell'associazione Agci Agrital - che periodicamente i nostri pescherecci sono oggetto di sequestri e sparatorie da parte di vedette libiche. Ma non essendo vedette donate dall'Italia con nostri militari a bordo, gli episodi non facevano notizia». Una conferma al fatto che i libici usano respingere a mitragliate i pescatori italiani che si trovano in acque internazionali (che Tripoli, con un atto unilaterale, considera invece proprie), arriva anche dalla relazione del ministero dell'Interno. «Quando il comandante libico ha intercettato il peschereccio che riteneva effettuasse pesca di frodo - si legge nel verbale del Viminale -ha fatto preparare le armi portatili in dotazione secondo il loro consolidato modus operandi».
Su questo drammatico aspetto della vicenda è intervenuto, con una nota critica nei confronti del governo, anche Futuro e libertà, il gruppo fondato dal presidente della Camera Gianfranco Fini. «Che da motovedette donate dall'Italia - dichiara il deputato Carmelo Bruguglio, finiano, membro del Copasir-con a bordo militari italiani si possa sparare contro cittadini italiani è un fatto che non ha precedenti. Sono gli effetti perversi di una diplomazia anomala che, dopo l'imbarazzante visita di Gheddafi in Italia e questo episodio gravissimo, deve essere rivista». A proposito della diatriba sulla pesca in acque internazionali, il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha precisato che «difficilmente potremmo risolverla noi perché la Libia ha fatto una dichiarazione unilaterale sulle acque territoriali e quindi devono intervenire gli organismi internazionali. E questo non c'entra con il Trattato di amicizia».
Al titolare del Viminale (che ha precisato di non avere intenzione di modificare le regole d'ingaggio dei finanzieri che cooperano con i libici) ha replicato, per il Pd, il deputato Matteo Mecacci: «Il governo non può continuare da una parte a chiamare in causa l'Ue per risolvere le questioni della pesca e dei migranti e dall'altra stipulare lucrosi (per Gheddafi) accordi bilaterali che incentivano la Libia a violare le norme internazionali sia per i confini marittimi che per la gestione dell'immigrazione». Sul fronte delle indagini, si sono rincorse ieri voci sul fatto che la motovedetta italo-libica fosse dotata di artiglieria pesante. In serata, il comando generale della Guardia di finanza ha precisato che «le motovedette cedute alla Guardia costiera libica sono prive di qualsiasi armamento fisso» e che «i colpi esplosi in direzione del peschereccio italiano provenivano da armi portatili, non montate su supporto fisso, di proprietà della Guardia costiera libica». La procura di Agrigento che indaga contro ignoti per tentato omicidio plurimo ha fatto sapere che le armi che hanno sparato contro il peschereccio mazarese non sarebbero di origine italiana. «Nel prosieguo delle indagini - ha spiegato il procuratore di Agrigento, Renato Di Natale - faremo ogni accertamento sull'origine e sulla nazione di fabbricazione delle armi».
 

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