I sospetti di Berlusconi su Gianfranco: "Sappia che il Pdl non è ua diarchia"

Dalla Rassegna stampa

 

«Il Pdl non è una diarchia». Partendo per Washington era sicuro di lasciarsi per qualche giorno alle spalle le polemiche italiane. Eppure, anche durante il vertice per la sicurezza nucleare, Silvio Berlusconi continua a prendere tempo con chi gli chiede quando vorrà fissare un incontro con Gianfranco Fini. E poco importa se il mancato faccia a faccia stia diventando ormai un caso politico, che manda in fibrillazione gli uomini del presidente della Camera.
«Non servono caminetti, ci sono gli organi del partito che si riuniranno per decidere- spiega il Cavaliere - e io mi atterrò a quelle decisioni». Alla fine, riferiscono i suoi, il premier si acconcerà a discutere con il dirimpettaio di Montecitorio e non è escluso che l’incontro possa esserci già alla fine di questa settimana. Ma, certo, a Berlusconi non dispiace tenere Fini sulla corda, farlo penare un po’ per quel continuo «controcanto» e tenersi alla larga dal «chiacchiericcio» del cortile italiano. Dopo le regionali in primo piano è tornata quindi l’agenda internazionale, la volontà di presentarsi come uno statista. Così l’appuntamento di domenica prossima con Angela Merkel, il bilaterale di ieri con Lula - con la speranza di strappare al Brasile Cesare Battisti - il summit aWashington sulla sicurezza nucleare.
E proprio nella capitale americana il premier ha ricevuto i report di Denis Verdini con i risultati delle elezioni: sul contatore del Pdl spicca il raddoppio dei capoluoghi amministrati (da 2 a 4), i 34 grandi comuni conquistati rispetto ai 26 che il centrodestra amministrava. Il Cavaliere, insomma, era soddisfatto («ormai dominiamo ovunque»), ma dalla lezione dei ballottaggi ha tratto ulteriore conferma che il doppio turno non va bene per il Pdl. «Conviene solo alla sinistra - ha ripetuto in questi giorni-, mentre i nostri elettori si stancano a essere chiamati alle urne due volte di seguito». Con una sottile perfidia i recensori del "Mattinale ", la newsletter riservata del Pdl, ieri ricordavano come lo stesso Pinuccio Tatarella nel ‘95 predicasse contro il doppio turno, «una legge che favorirebbe solo il centrosinistra, perché sarebbe un modo intelligente per rendere coatta un’intesa che sul piano politico non può essere raggiunta».
Dunque, se persino Tatarella era contrario al doppio turno, perché Fini insiste? In effetti, Fini non insiste affatto. Anzi, il presidente della Camera in questa fase sta bene attento a tenersi lontano dalla caricatura di "guastatore" che i giornali di destra gli hanno appiccicato addosso. Lo dimostra la cautela della lezione tenuta di ieri a porte chiuse agli studenti del Giulio Cesare. Parole prudenti, con il riconoscimento del diritto della maggioranza di procedere anche da sola alle riforme costituzionali. Una novità subito apprezzata dagli uomini del Cavaliere: «La mia Impressione - osserva Gaetano Quagliariello - è che stavolta non ci sia stato un controcanto. Fini ha spiegato agli studenti che è meglio arrivare alle riforme in modo condiviso ma che, d’altra parte, esiste anche l’articolo 138 della Costituzione. Insomma, farle insieme non è un obbligo, non esiste un diritto di veto del Pd». Su questo terreno i due co-fondatori del Pdl (almeno così sperano i finiani) possono ritrovare un terreno d’intesa. A lavorare alla pacificazione c’è anche Giuliano Ferrara, che venerdì scorso è stato invitato a pranzo da Fini.

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