Le sorprese del paese reale

La vicenda delle «ronde» rappresenta uno di quei segni dei tempi che dicono la verità sull’Italia di oggi più di mille analisi sofisticate. La verità di Paese politicamente nevrotizzato, dove la politica è sempre più spesso impegnata a discutere con ferocia sul nulla, un Paese che il discorso pubblico dipinge troppo spesso quale esso in realtà è ben lungi dall’essere.
Le «ronde», ricordate? Per settimane e settimane la Destra, la Lega in modo particolare, ne hanno reclamato l’istituzione descrivendo una popolazione ansiosa di provvedere da sola alla propria sicurezza perché in preda alla paura, insidiata giorno e notte da delinquenti e immigrati malvagi, ma abbandonata a se stessa da polizia e carabinieri sopraffatti da una malavita soverchiante. Da qui, appunto, la necessità delle «ronde». Ma armate o disarmate? Con lo sfollagente o con lo spray al peperoncino? Con i cani o senza? Con divisa e stemmi o senza? Da qui, ancora, discussioni a non finire, vertici di governo, compromessi faticosi subito mandati all’aria, mentre dall’altra parte la Sinistra lanciava grida di allarme sullo squadrismo alle porte, la fine della legalità, la «manipolazione securitaria ».
Alla fine, come Dio vuole, si arriva alla legge che istituisce le benedette «ronde», sia pure abbastanza depotenziate rispetto ai propositi iniziali, e che accade a questo punto? Nulla, semplicemente nulla. Ci si accorge cioè che agli italiani, anche a quelli di Destra, di fare i «rondisti» non gliene importa nulla. Che anziché passare le serate a perlustrare il centro di Paderno Dugnano o le vie di Valdagno preferiscono guardare le televisioni o farsi la solita pizza. Al massimo — ma solo in quelle periferie dove serve, come a Milano — sono pronti a impegnarsi in un civilissimo «controllo del vicinato», come si chiama, senza tanti proclami e norme inutili. Insomma, trascorsi ormai alcuni mesi, il numero delle richieste di «ronde» pervenute al ministero degli Interni pare che non superi più o meno il numero delle dita di due mani. Si dice addirittura che in tutto siano tre.
La conclusione appare inevitabile: evidentemente il Paese reale non era affatto quella pentola in ebollizione, quel ricettacolo di rabbia e di passioni che a qualcuno piaceva immaginare. Non lo era e non lo è, se è vero che con la crisi e la disoccupazione che imperversano la manifestazione più eclatante di disagio sociale sono stati alcuni operai saliti in cima ad una gru. L’Italia di oggi, insomma, è una società che per la sua grandissima maggioranza ragiona e sa mantenere la testa a posto. È un Paese capace di giudicare, che preferisce qualche proposta concreta ai torrenti di parole. E che dunque non sa che farsene delle cose che invece quotidianamente gli propone un mondo politico, il quale si sta sempre più abituando a cercare nella rissa e nell’insulto il compenso alla sua mancanza di idee e di programmi. Da tempo, in Italia, lo scontro politico serve puramente o a colpire l’avversario o ad almanaccare nuovi fantastici progetti di schieramento; e nel frattempo a coprire il nulla. Ed è sempre per questo, se è permesso dirlo, che quello che gli «arrabbiati» di tutte le parti chiamano con disdegno il «terzismo», in Italia non è altro che autentica intelligenza delle cose. E quasi sempre, aggiungiamo pure, carità di patria.
© 2009 Radicali italiani. Tutti i diritti riservati
SU
- Login to post comments