Sopravvissuta alla partitocrazia

A 150 anni dalla sua unità si può ben dire che l'Italia è durata per fortuna molto di più dei partiti che ne accompagnarono non dico la nascita, avvenuta senza di loro, ma la crescita. Essa durerà anche oltre i partiti che se ne contendono oggi il governo e che formalmente gareggiano tutti per festeggiarne il secolo e mezzo di vita, ad eccezione della Lega. Che per fare festa davvero aspetta che si completi il processo federalista. Poi verrà magari anche per la Lega il turno di chiudere, com'è accaduto a quelli che Wikipedia, l'enciclopedia elettronica che impazza ormai fra i giovani perché di più immediato e facile accesso, definisce i "partiti storici" d'Italia. Fra i quali, guarda un po', non troviamo il movimento leghista, che pure ha ormai accumulato la maggiore anzianità di servizio nell'elenco dei partiti forniti oggi di regolari gruppi parlamentari.
Invece troviamo ancora, nell'elenco dei partiti "storici", la Democrazia Cristiana, il Movimento Sociale, il Partito Comunista Italiano, il Partito d'Azione, il Partito Liberale, il Partito Nazionale Fascista, il Partito Radicale, il Partito Repubblicano, il Partito Socialdemocratico e il Partito Socialista.
Tutti ridotti in cenere, per quanti sforzi faccia l'immaginifico Marco Pannella di tenere in vita il suo, quello Radicale, riparandolo nelle liste elettorali ora di una parte ora dell'altra. Adesso, per esempio, gode dell'ospitalità un po' troppo pelosa del Pd di Pier Luigi Bersani, ma credo che durerà ancora poco: il tempo necessario perché, a contatto con i problemi della. giustizia all'esame del Parlamento, tocchi sino in fondo l'impossibilità degli ex o post-comunisti, e democristiani di sinistra di uscire dal passato e di diventare realmente riformisti e garantisti, senza correre dietro ai soliti Nichi Vendola e Antonio Di Pietro.
I partiti italiani veramente o più propriamente "storici", se non vogliamo andare troppo indietro e astrattamente negli anni, sono sicuramente quelli cosiddetti di massa, cioè ben organizzati e maggiormente votati, che ereditarono un Paese distrutto dalla seconda guerra mondiale e lo restituirono alla democrazia e alla libertà. Partiti come la Dc, il Pci e, il Psi, che a prescindere, con i loro alleati, dalle posizioni di maggioranza e di opposizione ad essi assegnati dagli elettori, seppero destreggiarsi tra ideologie e programmi.
Alla caduta delle ideologie, come impropriamente si chiama la caduta di una sola ideologia, quella comunista, crollata con il famoso muro di Berlino nel mese di novembre del 1989, la storiografia e la politologia correnti collegano troppo frettolosamente la fine delle ragioni di vita anche degli altri due partiti di massa del dopoguerra. In realtà, schiacciato dal crollo del comunismo, il Pci poteva e doveva essere il solo a pagare le spese, come dimostrò peraltro il 16,11 per cento dei voti raccolti con il nuovo nome di Pds e il nuovo simbolo della quercia nelle elezioni politiche del 5 e 6 aprile del 1992, contro il 33,3 per cento raccolto nelle elezioni del 17 giugno 1984 per il rinnovo del Parlamento europeo: quelle dello storico sorpasso eseguito sulla Dc, fermatasi allora al 32,97 per cento dei voti.
A demolire davvero gli altri partiti, lasciando sul terreno solo il Pds-ex Pci a dispetto di quel misero risultato elettorale del 1992, fu soltanto la falsa - e vedremo poi perché - rivoluzione giudiziaria ancora oggi attribuita all'inchiesta "Mani pulite" sul finanziamento illegale della politica. E sulla corruzione che l'accompagnava spesso, non sempre, visto l'esito dei processi non tutti conformi, dopo molti anni, alle accuse di partenza. A impedire che quella falsa rivoluzione dispiegasse per intero i suoi effetti e consegnasse il Paese al Pds-ex Pci fu nel 1994 un uomo "temerario e un po' matto", come Silvio Berlusconi si è definito nei giorni scorsi parlando del cantiere che ha appena aperto per la riforma del titolo della Costituzione riguardante la magistratura. Fu lui a riempire con la sua Forza Italia il vuoto lasciato dai partiti storici ghigliottinati dalle Procure della Repubblica e ad inaugurare la lunga stagione dei "movimenti personali", come li chiamano con spirito critico molti, a sinistra e al centro. Che pure ne hanno messi su di propri anche loro, senza riuscire a competere davvero con il Cavaliere, neppure facendo ricorso alle solite risorse giudiziarie.
Quella rivoluzione giudiziaria fu falsa semplicemente perché condotta a senso unico. L'episodio emblematico rimane quello del miliardo delle vecchie lire di Raul Gardini portato in nero nella sede nazionale del Pci, di cui gli inquirenti non seppero, diciamo così, trovare il destinatario fisico. I segretari degli altri partiti invece non potevano non sapere, come gridavano i pubblici ministeri, e finirono tutti, con i loro movimenti; nel pentolone degli imputati, dove bollirono ben bene. Qualcuno, oltre al potere e alla carriera politica, ci rimise anche la vita, senza riuscire neppure con questo a placare la voglia di linciaggio che accomunava, e un po' accomuna ancora, certe Procure e piazze.
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