Sono serie le minacce dell'Iran? L'esperienza consiglia cautela

L'Iran insiste. Se saranno adottate sanzioni contro il settore petrolifero i pasdaran bloccheranno lo stretto di Hormuz. E l'America risponde che la chiusura non sarà tollerata e punisce il Venezuela che fa da sponda a Ahmadinejad. Quanto è serio il confronto? Le minacce di Teheran sono soltanto esercizi di propaganda? Meglio andarci cauti. In tutti sensi.
Gli esperti militari ritengono che l'Iran sul piano tecnico possa creare fastidi alla navigazione. Tuttavia sul lungo termine l'Us Navy, con gli alleati, ha i mezzi per tenere aperta la via d'acqua. Il punto è a quale costo. Washington si è faticosamente tirata fuori dall'Iraq e ora potrebbe essere chiamata a intervenire, in modo pesante, nel Golfo. Hormuz non può diventare una forca caudina gestita da Ahmadinejad o dai pasdaran. Ma al tempo stesso la Casa Bianca deve evitare le molte insidie seminate lungo le rotte del petrolio. Davanti non ha un blocco monolitico e a Teheran c'è chi ama la teoria dello scontro. Per vocazione e perché - come ha rivelato uno studio elaborato per la Guida Ali Khamenei - ritengono che il nemico non abbia abbastanza stomaco per incrociare le spade. Non c'è dubbio che il regime - molto diviso - ama le sortite forti. E in passato ha trovato modo di fermarsi prima della deflagrazione. Chiudere Hormuz sarebbe disastroso anche per l'Iran. Ma è altrettanto vero che le provocazioni, anche estreme, sono nel dna dei mullah. È ancora il passato a spiegare il futuro. In momenti di difficoltà interna, i dirigenti iraniani non hanno esitato a cercare frizioni. O persino a lanciarsi in avventure rischiose. L'occupazione dell'ambasciata americana a Teheran, seguita dalla lunga presa di ostaggi, rappresenta un simbolo ma anche un modus operandi. Chi comanda in Iran è razionale, però può essere tentato da mosse «pazze». La storia dello stretto per gli ayatollah diventa così un test per misurare la reazione Usa e comprendere fino a che punto Barack Obama è pronto a spingersi. Possono perdere un pugno di pasdaran e qualche motoscafo e poi affermare di aver vinto. A Teheran i «martiri» non sono soldati da piangere ma esempi da seguire.
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