Sono mercati o case da gioco?

Dalla Rassegna stampa

Più passa il tempo, più cresce la proba­bilità che questa crisi sia un’occasio­ne sprecata. Di riforme dei mercati finanziari, la cui urgenza la crisi ha reso evi­dente, non si intravede neppure l’ombra. Eppure queste riforme sarebbero l’unico beneficio di una cri­si che è tanto costosa.

Il problema non è certo la mancanza di analisi o di proposte: da mesi il Finan­cial Stability Board ha in­dividuato quali regole deb­bono essere cambiate. Le riforme non vengono fatte perché sono venuti meno l’interesse e la determina­zione dei governi e dei par­lamenti, cui spetta il com­pito di tradurre quelle pro­poste in norme di legge e nuovi regolamenti. Nel Congresso degli Stati Uni­ti, dove l’esigenza di nuove regole è più forte, la discus­sione è appena cominciata e con il piede sbagliato. Si mette in dubbio l’indipen­denza della Banca centrale ma non si fa nulla che pos­sa irritare i banchieri.

Nel frattempo i mercati finanziari hanno ricomin­ciato a funzionare esatta­mente come funzionavano prima delle crisi, con i me­desimi incentivi e le mede­sime debolezze.

Rimandare le riforme si­gnifica scegliere di non far­le più, perché più passa il tempo, più le banche ripa­rano i loro bilanci, più au­mentano il loro potere e la loro capacità di convince­re i governanti a non far nulla che possa intaccare i loro profitti.

Al centro della discussio­ne pubblica ci sono i com­pensi dei banchieri. Ma è una trappola: i banchieri più smaliziati in realtà so­no contenti che questo sia il tema al centro del dibatti­to e la loro apparente resi­stenza è strategica, cioè un modo per evitare regole che possano intaccare i profitti delle banche. Se ci sono ampi profitti, un mo­do per distribuirli lo si tro­va, quali che siano le rego­le sui compensi. Se i criteri per la determinazione dei compensi cambieranno, ma tutto il resto rimarrà in­variato, il sistema rimarrà debole quanto lo era pri­ma della crisi.

C’è qualcosa che il gover­no italiano può fare per evi­tare questo disastro? Il maggior contributo italia­no all’industria finanziaria è stata la creazione del Mercato telematico dei ti­toli di Stato (Mts), uno dei primi esempi al mondo di piattaforma pubblica tra­sparente per la negoziazio­ne dei titoli, un modello di­ventato lo standard in mol­ti Paesi. Il governo potreb­be fare leva su questo no­stro successo e chiedere che il G20 adotti — come l’F sb ha proposto — una norma che impedisca gli scambi over the counter, cioè attraverso una banca, e sposti le compravendite di prodotti finanziari su piattaforme trasparenti. Questa norma può essere adottata domani e trasfor­merebbe i mercati finan­ziari. Non solo perché im­porrebbe la trasparenza e quindi la tracciabilità delle transazioni. Oggi le som­me che chi acquista un tito­lo deve depositare a garan­zia dell’operazione sono impiegate dalle banche co­me se fossero mezzi pro­pri e sono una delle fonti con cui vengono finanzia­te operazioni che espongo­no i bilanci delle banche a rischi impropri. Le piatta­forme invece le considera­no per quello che sono, cioè garanzie, non chip per il casinò.

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