Solo gli ex alleati si odiano così tanto

Non si parlano neanche più. Per mandarsi segnali in codice, si affidano agli ambasciatori più volonterosi. Si detestano. Si separano ma sono costretti a coabitare, almeno per un po'. Divisi da rancori inestinguibili, devono percorrere un tratto insieme. Sul piano sentimentale vorrebbero sbranarsi. Ma la ragion politica prevede addirittura che Fini e Berlusconi potrebbero siglare un «patto di legislatura». Come faranno?
L'odio tra i leader costretti a convivere ha una lunga storia nella politica. Tony Blair e Gordon Brown nutrivano reciprocamente un'ostilità assoluta, e nelle sue memorie Blair si vendica senza pietà del suo nemico giurato. Cosa pensassero l'un dell'altro Sarkozy e Chirac è cosa nota e tra Sarkozy e de Villepin è finita addirittura in tribunale, in un'atmosfera di spionaggio e colpi proibiti. Si dice pure che tra Putin e Medvedev la tensione, la gelosia, il sospetto siano i sentimenti dominanti.
Nella Prima Repubblica, sia pur nel linguaggio felpato e prudente dell'epoca, non scorreva una calda corrente di simpatia tra Moro e Fanfani e nemmeno tra Moro e Andreotti. Amendola e Ingrao, nel Pci, non erano solo l'incarnazione di un'antitesi ideologica, erano anche la personificazione di due caratteri opposti, di due modi d'essere e di pensare (un po', si parva licet, come i due eredi postcomunisti D'Alema e Veltroni). Anche tra Craxi e Amato, dopo l'esplosione di Tangentopoli, il rapporto frantumato in pochi mesi rappresentava solo la conclusione amara di stili e tipologie umane diverse. Ma mai si arrivò in tutti questi casi alla pubblica contrapposizione puntigliosa e risentita tra due alleati che hanno cominciato a scambiarsi epiteti come «infame» (per interposto giornale) e «traditore». L'infame e il traditore dovrebbero continuare a condividere la stessa avventura di maggioranza? E se poi dovessero scendere alle vie di fatto, con padrini e armi regolamentari?
Il «patto» lo propone Fini, quello tra i due che ha più dimestichezza con il «teatrino della politica» che più o meno a Mirabello ha proposto il seguente scenario: il Pdl non esiste più, tu sei uno stalinista insofferente al dissenso, uso a circondarti di colonnelli che indossano con disinvoltura la livrea dei cortigiani, però se riconosci l'importanza di Futuro e Libertà possiamo metterci d'accordo su cinque punti per arrivare alla fine della legislatura. Per Berlusconi è tutto più difficile. Bisogna certo dire che Berlusconi è stato umanamente capace di un'impresa impossibile: rimettersi con Bossi, dopo che il leader della Lega aveva fatto il ribaltone del '94 e cominciò a coprirlo di insulti sanguinosi come «mafioso», «Barluskaiser» e «Berluskaz». Passare sopra a queste ingiurie e rimettersi con Bossi è stato il capolavoro politico di Berlusconi. Ma anche all'apice dello scontro con il capo della Lega, Berlusconi non ha mai conosciuto il sentimento del rancore, della delusione. Quel tipo che veniva a trovarlo con la canottiera d'estate non gli è mai stato veramente antipatico.
Fini sì, è la rappresentazione fisica di tutto ciò che lo irrita nella politica italiana. I rapporti, tra i due, non si ricuciranno mai. Berlusconi ha sempre detto che la sua arma psicologica è di sapersi fare convesso con i concavi e concavo con i convessi. La diplomazia della pacca sulle spalle e del cucù alla Merkel è per lui un ingrediente umano indispensabile della politica.
Quando venne fondato il Pdl e Berlusconi credeva ancora che il rapporto con Fini avrebbe potuto salvarsi, venne naturale la scelta di ascoltare l'insidioso discorso del numero due sedendosi accanto a Elisabetta Tulliani, a sua volta gratificata come donna «fine» ed elegante che «Gianfranco» aveva fatto bene a scegliere. Paradossale, ora che sulla Tulliani si è scatenata la muta dei segugi della privacy (altrui). Non è vero che non si siano parlati più. Le cronache raccontano che nelle stanze della clinica dove Berlusconi era ricoverato dopo l'aggressione di Tartaglia, il colloquio con Fini venne bagnato persino da qualche lacrima. Ma quel residuo di elementare solidarietà umana è svanito con l'espressione rabbiosa del Berlusconi che il 29 luglio annuncia la brutale cacciata dell'ingrato delfino e con il puntiglioso elenco di accuse lanciate da Fini sul palco di Mirabello. Eppure devono convivere. Se non passa la linea delle elezioni anticipate, l'«infame» e il «traditore» non potranno lasciarsi definitivamente. Non stanno più nello stesso partito. Ma stanno ancora, fino a sfiducia contraria, nella stessa maggioranza. Si diranno ancora le cose più terribili ma non potranno ancora spezzare l'ultimo filo che ancora li lega. Dovranno far prevalere il gelo della ragion politica sulla spontaneità degli istinti che esigerebbe una liberatoria scazzottata. Altro che separati in casa. Incatenati a casa, colmi di un'avversione reciproca che non può esplodere fino all'ora X. Tenere lontano i coltelli.
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