Solo contro tutti Sembra Mourinho ma è Berlusconi

Non potranno mai giocare nella stessa squadra. Uno del Milan, l'altro dell'Inter, tutti e due con la vocazione a ritrovarsi soli contro il mondo. In fondo maledettamente simili. Plutarco si sarebbe divertito a raccontarli nelle vite parallele. Il politico e l'allenatore, il «nemico pubblico numero uno» e lo Special One, Arcore e Setubal, la vittoria come religione. Uno che dice: «Io vinco sempre. Sono condannato a vincere». L'altro sostiene: «Se avessi voluto un lavoro facile sarei rimasto al Porto, con una bellissima sedia blu, una Champions in bacheca, Dio e dopo Dio il sottoscritto».
Mou e il Cav si stanno simpatici. Si annusano, si specchiano, si riconoscono. Dividono. Si può pensare tutto quello che si vuole di Berlusconi e Mourinho ma una cosa è certa: sanno come prendersi la scena. Alla fine ci si ritrova sempre a parlare di loro, come un'ossessione, come una calamita, con speranza o inquietudine. Sono seduttori e carismatici. E anche per questo è facile detestarli. Molti italiani hanno cominciato a ragionare di Mou con un po' di sangue freddo solo quando se ne è andato in Spagna. Accadrebbe lo stesso con il Cavaliere. Qualcuno in effetti ci spera. Il guaio è che con personaggi così per valutarli ci vuole una certa distanza. Quando combattono nell'arena è quasi impossibile restare neutrali.
Berlusconi ieri ha parlato di Mourinho, scherzando sui destini dell'Inter ha confessato la passione per il suo alter ego: «Mi piace moltissimo Mourinho, è un allenatore straordinario. Mi piace quando guarda negli occhi i suoi colleghi e dice zero tituli». Il sospetto è che se proprio deve scegliere un successore il Cavaliere prima o poi indicherà Mourinho. L'idea di un portoghese a Palazzo Chigi la troverebbe geniale. Non è detto che Mou non accetti. Tanto i nemici più o meno sono gli stessi. Qualcuno dirà che Berlusconi fa il premier, Mourinho ancora no. Quindi il paragone è blasfemo. Può darsi, intanto Travaglio si mette avanti con il lavoro. Ecco cosa pensa di Mou: «Vorrei provare a comprendere com'è possibile che questi fenomeni da baraccone, queste versioni moderne della donna barbuta e del mangiafuoco, dopo tanto girovagare per il mondo con alterne fortune, riescano a trovare l'America in Italia».
Lo Special One dopo la partita con il Barcellona ha sacramentato contro arbitri e giornalisti. Agli uomini in nero ha detto: «Sono stanco di giocare in dieci contro il Barca». Con gli altri, i giornalisti, non ha voluto parlare: «Sei il direttore del giornale? Io parlo solo con il direttore. Mi adeguo alla vostra filosofia». Mou ha capito un concetto: più lo attaccano e più diventa forte. Non è solo un allenatore, uno dei tanti. È l'allenatore, una sorta di noumeno, l'idea incarnata del mister. Qualcosa che si può maledire, ma che diventa difficile da abbattere. È quello che i suoi rivali non capiscono. Lo stesso discorso vale per gli antiberlusconiani. Sono loro in fondo i più grandi artefici del mito del Cav. Berlusconi ci scherza su: «Mi accusano di essere un dittatore, ma se lo fossi davvero sarei sicuramente il dittatore più sfigato di tutti». Uno contro tutti. È il prezzo da pagare. E poi, come dice, Mou: «Neanche Gesù era amato da tutti, figuratevi io».
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