Il solito copione

Dalla Rassegna stampa

Da Milano a Napoli - sì, di nuovo Napoli, ma senza dimenticare Bari, l’Abruzzo e la Calabria -, la grande Idra continua a divorare se stessa, e l’ondata di scandali nati dall’intreccio tra amministrazioni e imprenditorie locali non accenna a fermarsi. Dalla prima inchiesta campana, che rivelò l’anno scorso una sorta di svolta manageriale nella corruzione - con cervelli e snodi ormai fuori dei partiti, soggetti a meccanismi perfezionati e lontani da qualsiasi logica politica -, il sistema pare ormai essersi diffuso dappertutto, al Nord al Centro e al Sud, con caratteristiche simili e funzionamento purtroppo collaudato. Siamo in pratica a una «napoletanizzazione» dell’Italia: ovunque i filoni del malaffare sono la sanità e la gestione ecologica (si fa per dire) dei rifiuti, ma è soprattutto nel primo, che muove localmente masse di danaro superiori a quelle amministrate direttamente dal governo nazionale, che la malversazione si fa industria.

C’è ormai una specie di copione che prevede come protagonista un imprenditore ricco o arricchito, che è insieme appaltatore e appaltante, cioè partecipa alle gare ed è in grado di determinare la composizione della commissione che ne deciderà le sorti, e a seguire, ovviamente, la scelta di dirigenti e funzionari chiamati a realizzare i progetti, i necessari pacchetti di assunzioni, gli acquisti di macchinari, le verifiche, i collaudi e tutto quel che ci vuole.
Che poi, com’è successo in Campania, un singolo filone d’inchiesta riveli che un partito, o un ex partito che ha la sua roccaforte in un’area ristretta, come quello di Mastella, possa tenere sotto controllo nel suo territorio un intero settore ospedaliero - dal meccanismo clientelare delle assunzioni, alle promozioni di complici e comprimari, alle rimozioni di quelli che non ci stanno -, conferma, anziché smentire, la mutazione genetica che la macchina della corruzione ha subito in periferia. Dietro gli elenchi di «segnalatori» e «segnalati», di minacce mirate a far mollare i dipendenti onesti, di valutazioni e ordinazioni mutevoli secondo convenienza, e non secondo necessità, non c’è più il deprecato metodo della lottizzazione, su cui il potere a qualsiasi livello s’era retto per decenni. Non c’è neppure logica, né equilibrio, né altra regola che non quella della prepotenza e del profitto illegale, di cui è perfino intuibile che solo una minima parte è destinata alle necessità della politica.
Solo così si spiega come accanto al nome del maggiore fruitore politico (o «utilizzatore finale», per usare una definizione più recente), oggi Mastella, domani chissà chi, tracce grandi e piccole di benefici indirizzati ad altri leader, o ministri, o assessori, assicurino il pieno coinvolgimento di tutti o quasi tutti, destra e sinistra, maggioranza e opposizione, esponenti locali e nazionali. Come appunto a Bari, dove l’imprenditore Tarantini avviluppa nelle sue spire prima la giunta regionale di centrosinistra e poi, nientemeno, il presidente del Consiglio e leader del centrodestra. O a Napoli, dove si comincia con gli assessori della Iervolino e si finisce con Mastella, i Verdi, alcuni stretti collaboratori di Bassolino, i vertici dell’ex Forza Italia in cui è in corso da tempo una resa dei conti interna, e perfino il figlio di Di Pietro. O ancora a Milano, dove l’imprenditore che ha in mano il sistema può permettersi il lusso di gestire (e incastrare!) il potente capo della segreteria del ministro Bondi, semplicemente mettendogli tra le mani le chiavi di una Porsche.
Quel che invece si capisce meno, a questo punto, è come possa la politica - il governo soprattutto, ma anche qualche settore dell’opposizione - avviarsi al rinnovo di gran parte delle amministrazioni locali previsto in primavera mettendo in cantiere, nel contempo, una riforma della giustizia che per il momento in cui viene proposta, prima ancora che per i contenuti, s’annuncia assai intempestiva. Che la macchina giudiziaria non funzioni e necessiti di un cambiamento, e che il protagonismo di certi procuratori sia intollerabile, non c’è dubbio. Ma è davvero incomprensibile che invece di prendersela con gli imprenditori, o sedicenti tali, che li hanno espropriati, appaltandosi in nome di interessi esclusivi gran parte del loro potere, i politici, anche in questo momento, pensino a regolare i conti con i magistrati. La politica, prima della giustizia, dovrebbe pensare urgentemente a riformare se stessa.

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