I socialisti preferiscono la baronessa

L’esito della battaglia per le poltrone dell’Unione europea, e l’insuccesso di D’Alema e dell’Italia, dicono molte cose su che cosa sia e come funzioni davvero l’Europa politica.
Innanzitutto non deve ingannare la spartizione: presidente ai popolari e ministro degli esteri ai socialisti. Ciò non significa affatto che esistano davvero due partiti trans-nazionali di scala europea. I partiti non hanno contato nulla. Stavolta il Pse ha provato a battere un colpo, sotto forma di gruppo socialista al parlamento europeo, che dispone effettivamente del potere di vagliare e poi votare la commissione (il ministro degli esteri ne farà parte). L’indicazione di D’Alema veniva da lì.
Ma i premier socialisti, riuniti ieri in un pre-conclave, hanno deciso diversamente, privilegiando gli interessi nazionali sulla scelta trans-nazionale. Brown aveva bisogno di una compensazione, dopo la bocciatura di Blair, per non tornare in patria umiliato alla vigilia di elezioni che già è quasi sicuro di perdere. Per cui Zapatero ha decretato che si è socialisti solo se si sta al governo, e D’Alema, che sta all’opposizione, era figlio di nessuno.
C’è una certa ironia della storia in tutto ciò: se si pensa a quante discussioni e battaglie e scissioni è costata in Italia l’adesione del Pd al Pse, la ricompensa è uno schiaffo. Assestato poi a un partito che, sebbene più per demeriti altrui che per merito suo, è tra i più grandi in Europa in quanto a voti nel campo di sinistra. Certo più forte del Labour di oggi sotto la guida di Brown.
La seconda considerazione da fare è che non essendoci un’arena politica pan-europea, non esistono nemmeno personalità politiche di rilievo europeo, in grado cioè di essere conosciute e stimate in tutti i paesi dell’Unione. Blair, che certamente lo era, è stato bocciato proprio per questo. D’Alema, che con le dovute proporzioni lo era certamente più della Ashton, ha conosciuto la stessa sorte. Il fatto è che le personalità più note sono anche più divisive, perché hanno opinioni e sono schierate, e questo immediatamente le indebolisce, invece di rafforzarle, come accadrebbe in una qualsiasi democrazia nazionale. Così tal Van Rompuy-chi-era-costui sarà il primo presidente Ue, e la baronessa Ashton, di cui neanche gli inglesi sanno molto, sarà il ministro degli Esteri. Questo è un decifit dell’Europa, che contribuisce a tenerla lontana dall’interesse dei cittadini.
La terza considerazione riguarda il peso specifico del nostro Paese nei consessi internazionali. Scarso era e scarso resta. D’altra parte non è per un caso se non c’è nessun italiano al vertice di nessuna delle grandi organizzazioni internazionali. Siamo troppo grandi per ricevere le attenzioni che di solito si riservano ai piccoli, e troppo piccoli per giocare nella categoria dei grandi. Per cui prendiamo botte di qua e di là.
In questo caso Berlusconi si era messo in scia della candidatura D’Alema, sperando di portare qualcosa a casa. Ma quella candidatura non è mai apparsa come una candidatura del Governo italiano, e quando Zapatero ha messo il suo veto nessuno gli ha risposto per le rime. La lezione dovrebbe servire per il futuro. Avremo due nuove occasioni: la presidenza dell’Eurogruppo, dove è candidato Tremonti, e la presidenza della Bce, dove il nome di maggior prestigio internazionale è Mario Draghi. Sapremo giocare meglio le nostre già povere carte?
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