Il socialista che non era solo di sinistra

Di seguito riproponiamo ampi stralci del ricordo di Bettino Craxi che Venerio Cattani scrisse per il numero speciale dell’Avanti! del 18 gennaio 2005, in occasione del quinto anniversario della morte del leader socialista. In questo modo il nostro quotidiano vuole ricordare un altro grande personaggio, come Cattani, che per tanti anni ha onorato con la sua firma il nostro giornale.
Ho conosciuto Bettino Craxi quando era ancora molto giovane. Per la verità, ero molto giovane anch’io, c’era fra noi una differenza di sette o otto anni. Solo che io ero già deputato e un pezzettino di storia socialista e lui mi considerava una specie, o sottospecie, di guru. Lo incontrai di sfuggita la prima volta al Congresso di Venezia, il congresso storico dell’autonomia socialista, del 1956. (...) Più tardi o lui si rivolse a me o io lo cercai per organizzare gli universitari socialisti nell’Unuri. L’Unuri in quegli anni (‘58-’63) era la principale pepiniére della politica italiana: c’erano dentro tutti i migliori, specie dei partiti democratico-laici, c’era Pannella, c’era Battaglia, Zanone, appunto Craxi, e tanti altri da destra a sinistra. (...) Craxi aveva una caratteristica precisa, e allora molto rara. Era un socialista, per certi aspetti anche un socialista tradizionale (forse per via del padre) ma non era "di sinistra" (della sinistra ovvia, per intenderci) e soprattutto non era amico dei comunisti. Non solo non era comunista ideologicamente, ma non lo era pragmaticamente, istintivamente diffidava dei comunisti. Di sicuro, era molto attento a non farsi strumentalizzare dai comunisti con le chiacchiere allora in uso, l’unità dei lavoratori, l’antifascismo, e via litaniando. In questo senso apparteneva, come me, al nuovo filone socialdemocratico e riformista del Psi. Eravamo nenniani ben convinti di sostenere Pietro Nenni nella sua evoluzione autonomista; ma non avevamo più niente del massimalismo-unitarismo classista di Nenni. E neanche del sinistrismo azionista di Riccardo Lombardi. Lombardi era allora autonomista come noi; ma come tutti gli ex comunisti aveva il complesso del peccato originale (.. ). Ricordo che un’esperienza importante di Craxi fu il suo viaggio in Cina, appunto con l’Unuri, mi pare nel 1960. Era partito bonariamente scettico, ma ritornò completamente imbufalito, come era nel suo carattere. Mi disse: "Madonna che roba; altro che missili dobbiamo mettere". È da notare che in quegli anni, i giovani italiani erano impazziti per Mao; credevano davvero alla rivoluzione culturale, ai "cento fiori", al "libretto rosso" e a tutte le altre balle del catechismo cinese. (... )
In quegli anni, Craxi mi chiese di sostenerlo per venire a Roma o nella Federazione giovanile, o, appunto, per gli universitari socialisti. La proposta non passò e fu la fortuna di Craxi, che rimase a Milano e s’impadronì di quella per noi importantissima Federazione. Ricordo che io feci la proposta a De Martino, segretario del partito, che in genere mi ascoltava attentamente, ma quella volta fu reciso, anzi lo vidi alterato: "No e no", mi disse. "Nun lo voglio, chillo è ‘nu scassacazzi" "Cosa è?", dissi io da buon emiliano, non perché io non dicessi parolacce, anzi, ma proprio perché non avevo capito il gergo napoletano. "Sì - precisò -. È uno sfasciacarrozze". Mai visione fu più profetica: Saturno aveva identificato Giove. Preciso che questa mia testimonianza è letterale. Per quanto riguarda il mio modo di vedere, Bettino giovane aveva tutt’altri difetti. Scendendo a Milano, aveva preso Roma come una specie di città cinematografica e vacanziera: e infatti Roma allora lo era. Veniva sempre in ritardo alle riunioni, non aveva pazienza con i compagni, non ascoltava nessuno, non stava seduto più di un quarto d’ora e dopo un po’ se ne andava per Piazza Navona, come ora fa il suo amico Berlusconi. (...) Per me Craxi segretario fu per certi versi una rivelazione. Non sul piano politico, perché ne conoscevo l’intelligenza e la determinazione: ma sul piano dell’applicazione pratica. Si vede proprio che la carica fa l’uomo. Diventato segretario, si tra- sformò, almeno come quantità e qualità di lavoro, se non come tecnica dei rapporti umani. Non avevo capito che i suoi atteggiamenti, l’apparente svogliatezza, quello strano incrocio di dolcezza e di aggressività (si diceva allora che Craxi "era timido", ma in realtà non lo è mai stato), il non voler ascoltare, l’arrivare in grosso ritardo, l’andar via quando c’era qualcosa di scocciante da discutere, non erano elementi di debolezza, ma erano proprio la sua istintiva tecnica politica. Era il suo modo di essere leader in un partito di matti, ma anche di matti genialoidi e di personaggi eccezionali. Era il contrario esatto della tecnica che allora usava Pietro Nenni (...).
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