Soccorso rozzo

Dalla Rassegna stampa

Che cosa ci fanno, dietro la stessa bandiera, Rosy Bindi e Marco Travaglio, Fabio Granata e Antonio Di Pietro, quest'ultimo nelle vesti di gran cerimoniere? Stanno per lanciare un appello a Maroni.
 
Gli ultimi dettagli dell'operazione sono stati definiti nella serata di ieri da Leoluca Orlando, l'ex sindaco di Palermo che ha acquisito i galloni di «uomomacchina» nel comitato promotore dei referendum che si terranno nella prossima primavera. Il quesito contro il legittimo impedimento, quello contro il ritorno al nucleare, i due in difesa dell'acqua pubblica: sulle quattro battaglie, c'è un collettivo, con tanto di sito internet (http://www.iovotoil29maggio.it) che chiederà al ministro dell'Interno che si voti «quando sono fissate le amministrative». Il 29 maggio, appunto. «In questo modo, lo Stato risparmierebbe 350 milioni di euro. Ma soprattutto, l'election day consentirebbe un'affluenza maggiore alle urne».
 
Che in calce alla richiesta ci fossero le firme di Di Pietro, Orlando e Travaglio era prevedibile. Più sorprendente il fatto che l'appello, adesso, venga sottoscritto non solo dalla presidente dell'Assemblea del Pd, Rosy Bindi. Ma anche dal "principe" dei falchi finiani, Fabio Granata. Se prima era l'Idv, a condurre in solitaria la battaglia referendaria, adesso si può parlare di almeno tre punte: Di Pietro, Pd e Fli. Imbeccate da un trequartista (collettivo) d'eccezione, che si nasconde dietro la formula magica "società civile".
 
E così, snocciolando l'elenco dei primi firmatari del manifesto per accorpare i referendum alle amministrative, ecco che si materializzano Stefano Rodotà e la direttrice dell' Unità Concita de Gregorio, la cantante Milva e Bruno Tinti, Gioacchino Genchi e il comico Dario Vergassola, Dario Fo ed Emma Bonino, quest'ultima ancora in attesa di confermare la sua adesione in via definitiva. Tutti insieme appassionatamente. «Il Governo vuole fissare i referendum a giugno, quando la gente andrà al mare, quando ci saranno già stati due turni di amministrative, e la stagione politica sarà stanca e stancante», scrivono i promotori dell'iniziativa. Che concludono il loro appello così: «Se le battaglie per l'acqua e contro il nucleare saranno vinte, le politiche degli interessi forti e delle lobby amiche di Berlusconi saranno sconfitte. Se si riuscirà a cancellare il legittimo impedimento, la legge tornerà ad essere uguale per tutti, e i processi di Berlusconi potranno finalmente ripartire. Per questo, chiediamo a gran voce: 29 maggio election day, per l'Italia».
L'accelerata referendaria di Di Pietro, che ha concordato le sue ultime mosse con Gianfranco Fini, ha spiazzato il Pd. Per non parlare del caso Napoli, dove la discesa in campo dell'italvalorista Luigi de Magistris rischia di complicare ulteriormente la già faticosa corsa dei democratici verso una candidatura unitaria (quella del prefetto Mario Morcone prenderà piede, anche a prescindere dalla corsa solitaria dell'Idv).
 
Chi ha raccolto le confidenze di Bersani giura che il segretario del Pd, di fronte all'annuncio della candidatura di De Magistris nel capoluogo campano, ha fatto spallucce. «E comunque io», è la nota preferita di "Pier Luigi", «insisterò fino alla fine perché il fronte antiberlusconiano arrivi a una candidatura che unisca». Al contrario di quella dell'ex pm di Why not?, che nell'ottica bersaniana «è invece un candidato che divide».
Ma di fronte all'accelerazione referendaria, l'approccio del Pd potrebbe essere differente. Come dimostra la firma della Bindi all'appello pro 29 maggio, il sancta sanctorum democratico potrebbe finire per inseguire "Tonino" sul suo terreno preferito. Ed è rischioso, soprattutto sui referendum. Il quesito del nucleare trova il Pd diviso in due tronconi l'un contro l'altro (politicamente) armati (basta citare il can can sollevato dalla recente battaglia pro-atomo di Umberto Veronesi). Per non parlare delle diverse sensibilità che ci sono sul tema dell'acqua. E non è tutto. Il costituzionalista di area veltroniana Stefano Leccanti arriva a dire: «Sostenere questi referendum è tempo perso. In Italia, alle politiche vota il 75 per cento degli aventi diritto. Come pensiamo di portare al voto il 50 per cento più uno dell'elettorato attivo su questi quattro quesiti? Se io fossi il partito, e non un semplice senatore, mi terrei alla larga». Un'analisi che si guadagna la replica del capogruppo dell'Idv al Senato, Felice Belisario: «Berlusconi sarà presto travolto da una nuova primavera dei referendum e della democrazia. Saremo in pochi? Anche i partigiani della Resistenza all'inizio lo erano. Ma noi...».

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