La situazione

Il possibile scontro istituzionale tra governo e presidenza della Camera (e tra presidenza del Consiglio e Quirinale) sul conflitto di attribuzione intorno al caso Ruby ieri ha lasciato spazio a margini di ricomposizione. La crisi non è scongiurata, rimane un pericolo sospeso, ma l'allarme si è diradato, Gianfranco Fini non si metterà in mezzo tra il dispositivo sul conflitto di attribuzione e il voto dell'Aula. La scelta di Fini, che si è rimesso al parere della Giunta sul regolamento, rivela l'intenzione di affidare il conflitto di attribuzione, come vorrebbe Silvio Berlusconi, al giudizio di Montecitorio. Sono effetti di una triangolazione indiretta fra la diplomazia di Palazzo Chigi e la presidenza della Repubblica. L'entourage del premier ha lavorato per una soluzione meno dura, congelando martedì la minaccia dell'improcedibilità, e Giorgio Napolitano, che ha a cuore sia la difesa dell'immagine internazionale dell'Italia sia la salvaguardia degli equilibri istituzionali, ha utilizzato i propri autorevoli strumenti dissuasivi per separare il Fini capo partito dal Fini terza carica dello stato. Ne deriva un piccolo spazio demilitarizzato che, se coltivato dal Pdl, potrebbe favorire il rilancio dell'azione di governo. Anche in materia di giustizia.
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