Il sindaco azzerato

Dalla Rassegna stampa

A questo punto non gli resta che azzerare se stesso. Dopo aver interamente abbattuto la squadra politica che si era scelto, cos’altro gli resta da fare, se non far le valigie e lasciare libero quel Campidoglio dove neanche tre anni fa era stato festeggiato con drappi littori e saluti romani?
 
 Come fossero birilli, ieri pomeriggio il sindaco Alemanno ha impallinato tutti gli assessori della sua giunta e i numerosi delegati alle varie attività, tra cui quello chiamato ai rapporti con la comunità calabrese. È  una decisione che, di fatto, dichiara il fallimento dell’esperienza politica da lui promossa e guidata. Una scelta che nella sua roboante apparenza nasconde in realtà la pochezza di chi l’ha compiuta: è molto più facile prendersela con i propri collaboratori, quando le cose vanno male, quando la città appassisce giorno dopo giorno, progressivamente s’impoverisce e scivola sempre più nell’incuria e nel dissesto.
 
 Al di là delle indecenti dinamiche di poteri e sottopoteri che si scontrano e che non riescono a comporsi in uno straccio di sintesi politica, la crisi della giunta Alemanno è tutta nell’evidente incapacità della destra romana di governare una metropoli complessa come Roma. Un’incapacità che si è via via palesata nel corso di questi tre anni di amministrazione comunale inconcludente e cialtrona: al punto da diventare opinione diffusa che transita nei passaparola di rioni e quartieri, senso comune ormai prevalente.
 
 È  un gesto disperato. Per tentare di salvare il salvabile. Non a caso, la decisione è stata concordata con i dioscuri del Pdl Cicchitto e Gasparri, inviati al capezzale romano direttamente da Berlusconi. Alemanno chiede in sostanza una seconda possibilità, avendo consumato malamente la prima. Dice che ha bisogno di una nuova giunta per rilanciare l’attività di governo locale e passare a una non meglio precisata «fase due», con cui finalmente metterà mano alla città per far vedere cosa davvero è capace di realizzare. In sostanza, un’ammissione d’insuccesso: dall’aprile del 2009 a oggi ci si è dunque arrabattati invano.
 
 Tre anni buttati a lanciare annunci su annunci, tutti sistematicamente dispersi nel nulla, a organizzare raduni e conferenze, utili a strappare qualche titolo di giornale ma del tutto vani e ingannevoli.
 
Mentre Roma deperiva, sfinita nei suoi cronici disagi, maltrattata nella sua quotidianità, privata di servizi sociali e opere pubbliche. E anche indebolita nel suo tessuto democratico e partecipativo, attraverso le delibere su Roma capitale che hanno soffocato la riforma sul nuovo decentramento delle Municipalità, ridotte a sportelli amministrativi o poco più. L’unico cambiamento che forse Alemanno è riuscito a realizzare è stato quello di impaurire la città. Le sue ordinanze contro lavavetri e giocolieri, contro le comunità nomadi, contro stranieri e viandanti, poveracci e poveri cristi vari hanno davvero cambiato il respiro di Roma: che, improvvisamente, da città aperta e accogliente si è ritrovata rancorosa e accartocciata su se stessa.
 
 Ma evidentemente questo furore securitario, queste pulsioni regressive non sono state sufficienti a comporre una qualche politica, né a consolidare un blocco sociale. Più efficaci devono essere apparse, invece, le scorribande clientelari nelle aziende municipalizzate, con quelle quattromila assunzioni di amici e camerati, compari e parenti. Qui si è realizzato quel conglomerato politico-affaristico che ha davvero unito la destra romana, tanto famelica quanto infingarda. Una maggioranza scomposta e litigiosa, storicamente fagocitata dalla vecchia consorteria missina, si è infine e solennemente coagulata intorno alla spartizione di posti di lavoro per figli e cognati e qualche sfiorito squadrista.
 
 E adesso, con tutti questi assessori e delegati nominati dal sindaco che si ritrovano disoccupati, non sarà il caso di trovare una sistemazione anche per loro?

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