Il "sindacato di territorio" al bivio

Dalla Rassegna stampa

 

Assai difficilmente Umberto Bossi delude i giornalisti. E così anche ieri ha regalato alle agenzie di
stampa, alle tv e ai quotidiani un bel titolo: quel «ci prenderemo le banche» che sicuramente servirà ad animare la discussione sia nei circoli politici che in quelli finanziari. E’ noto come in casa della Lega la possibilità, grazie alla straordinaria performance delle Regionali, di entrare nei board delle grandi Fondazioni venga vista con favore. E c’è sicuramente chi in via Bellerio sta monitorando le date di scadenza dei vari consigli che però sono meno imminenti di quanto si sia portati a pensare. Indubbiamente Bossi con la sua dichiarazione di ieri si è mangiato il tempo, poteva aspettare e disegnare una convincente strategia, invece ha scelto l’uscita ad effetto e così si è oggettivamente collocato davanti a un bivio. La prima strada che può imboccare è quella classica e, da quando il compianto Alberto Ronchey coniò il termine, c’è una parola sola per definirla: lottizzazione.
Il Carroccio è cresciuto dappertutto, ha chiuso positivamente i conti con il venetismo, guida un Piemonte che sembrava refrattario alla narrazione padana, ha messo radici nei feudi della sinistra e disegnato nelle regioni rosse quell’ipotesi alternativa che il Pdl non era mai riuscito a far vivere tra la gente. Ha dimostrato, dunque, di saper coniugare il verbo della casa madre di Varese con le altre culture di territorio, macinando consenso e riconoscimenti tanto che i paragoni ormai si fanno con i partiti-Paese, la De e il Pci. Niente di più facile a questo punto che pronunciare il vae victis, guai ai vinti, e chiedere a muso duro un consistente numero di poltrone. Qualche giornale già si è sbizzarrito a pubblicare mappe e candidati ma i numerosi errori che ha compiuto non sono casuali. Non sono dovuti alla sbadataggine dei giornalisti, segnalano in realtà che seguendo il metodo brevettato da Massimiliano Cencelli alla fine ci si trova con più poltrone che candidature credibili. Il ministro Bossi se ne può infischiare, nominare chi vuole e ripetere esperienze del recente passato che pure non sono state esaltanti (si pensi al caso Eni-Fruscio), ma scegliendo questa strada la Lega non farebbe altro che aggiungere il suo logo all’elenco dei lottizzatori. Ed è tutto da dimostrare che pur numerosi piatti di lenticchie valgano elettoralmente più di una primogenitura.
C’è un’altra strada? Senza incorrere nell’errore di voler insegnare politica a chi ha dimostrato tanta perizia, un’altra via c’è. La Lega deve le sue affermazioni alla capacità di essere sindacato di territorio (copyright di Aldo Bonomi), di rappresentare quindi speranze e paure delle popolazioni del Nord. A questo punto non più solo delle valli, ma anche dei centri urbani, dei distretti industriali e di molte delle città-simbolo. Il sindacalismo di territorio ha però un limite intrinseco, è orizzontale, è una sommatoria di istanze, un vestito d’Arlecchino dove i colori del no rischiano in qualche caso di essere in numero superiore a quelli del sì. Per dirla con parole che non appartengono al lessico leghista, i sindacalismi sono resistenziali, prevedono assai di rado la discontinuità e l’innovazione.
Confrontarsi con il mondo bancario può essere proprio l’occasione per cambiare passo, per dare profondità alla cultura del territorio, farla diventare programma, ridurre la distanza tra popolo ed élite. Le piccole e medie imprese care a via Bellerio non vogliono delle Gepi regionali, non chiedono alla politica di invadere il mercato per elargire sussidi a pioggia. Hanno invece bisogno di dialogare con istituzioni e banche che le spingano ad aggregarsi, ad affiancare all’artigiano che le guida nuove competenze finanziarie e commerciali, a scegliere la specializzazione produttiva e la nicchia di mercato su cui puntare, hanno bisogno di partner che li accompagnino sui mercati dei Paesi emergenti. Come dimostra il caso Bialetti, il primo mal di testa capitato al neogovernatore Roberto Cota, non basta vincere le elezioni per evitare che le imprese in difficoltà delocalizzino. Ci vogliono idee per uscire dalla crisi e per rilanciare distretti e made in Italy. Se questi diventano i temi della dialettica che si andrà a creare già dalle prossime settimane tra banche, territorio e Lega non sarà difficile pescare le persone giuste e competenti per riempire gli organigrammi. Perché francamente una trota basta e avanza.

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