Simulacri e code di paglia

Ben al di là dei contenuti emersi di diverso rilievo e gravità - ed emergenti, la vicenda della pubblicazione dei dispacci segreti delle ambasciate Usa e di altri file sensibili, ha un rilevante valore simbolico.
È accaduto che nei giorni della vigilia del «lancio» e ora delle nuove rivelazioni, che una miriade di governi, occidentali e orientali, siano apparsi «terrorizzati» e nudi, allo specchio. In subbuglio perché potrebbero essere svelate le menzogne abusate dal potere, sconvolti per la quantità degli scheletri nascosti negli armadi dei Palazzi. Così, ogni ministro degli esteri o premier - in carica o ex, da Frattini a D’Alema, alla famiglia Clinton - si è sentito e si sente in dovere di elencare quale sarà la prossima mossa del perfido Assange, quale il prossimo file pericoloso.
Allora va in onda un inedito teatro dell’assurdo, dove si riscopre nientemeno che la memoria di fatti ben nascosti e misteriosi all’opinione pubblica, tacitamente si accusa, si riconosce e si ammette di avere occultato. Tutti scoprendo una mostruosa coda di paglia. Perché proprio le democrazie che vanno alla guerra si legittimano solo attraverso le menzogne di stato.
Questo cortocircuito si rende evidente perché il contenuto reale del messaggio di WikiLeaks, riguarda non tanto i rapporti diplomatici e i profili caricaturali risaputi, ma ancora una volta la guerra, le strategie geopolitiche che la riguardano e l’informazione negata su di esse. Afghanistan, Iraq, Medio Oriente e tanto Iran, tante atomiche, Coree: guerre sanguinose non concluse, occupazioni militari che durano da sessanta anni e che devastano la credibilità della leadership americana - quella militare, l’unica rimasta - rappresentata da Obama. E insieme conflitti altrettanto sanguinosi e nuovi che potrebbero esplodere nel brevissimo periodo, se non a giorni e ad ore.
Che nell’epoca dei simulacri al posto del reale, le rivelazioni di WikiLeaks non siano un codice di evocazione della barbarie?
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