Silvio, la realpolitik e le cattive compagnie

Dalla Rassegna stampa

Berlusconi e le cattive compagnie. Erdogan, il presidente della Turchia, un Paese che sui diritti umani e in particolare su quelli delle donne ha da fare un po’ di strada, tant’è vero che per entrare in Europa dovrà superare ancora qualche esame di democrazia. Putin, il primo ministro della Russia dove il confine tra la democrazia e il regime presenta ancora tanti punti oscuri. Gheddafi, il leader della rivoluzione in Libia dove le zone oscure non mancano, anzi abbondano.
Ma perché Berlusconi si ostina con caparbietà a frequentare questo tipo di figure politiche e addirittura se ne proclama ripetutamente amico e mostra orgoglioso questo tipo di rapporto come in questi giorni con Vladimir Putin, suo ospite a Villa Germetto e ad Arcore? Naturalmente c’è anche in questo caso la scuola del conflitto di interessi che, nel caso di Berlusconi, assume dimensioni planetarie e, quindi, riguarda anche tutta la Turchia, tutta la Russia e tutta la Libia, una enorme mezzaluna fertile solo per le tasche del Cavaliere.
Se escludiamo questa interpretazione quale altra ne rimane? Si possono intrattenere rapporti con Paesi dove il rispetto dei diritti umani è molto discutibile se non apertamente violato? È giusto farlo? Notare che molte di queste domande vengono poste da coloro che sul nostro territorio nazionale si fanno promotori del dialogo con i musulmani a tutti i costi. Quando a questi signori viene richiesto perché non si possa chiedere ai Paesi musulmani la reciprocità nel caso dell’edificazione dei luoghi di culto - cioè moschee qui ma chiese là - la questione non viene presa neanche in considerazione perché gretta e banale. Salvo poi attaccare la politica internazionale berlusconiana come troppo debole e troppo supina a Paesi come quelli citati. Ma si può leggere questa politica da un altro punto di vista che non sia quello del conflitto di interessi o quello della debolezza nei confronti di questi Stati?
Scriveva nel ‘700 il grande filosofo liberale Frédéric Bastiat che «dove non passano le merci, passano
gli eserciti». Cosa voleva dire? Certamente si riferiva al fatto che gli accordi commerciali tra Paesi, senza chiusure protezionistiche che aveva sempre avversato, avrebbero favorito rapporti pacifici. Non solo. L’esperienza ci ha insegnato anche che laddove entra il mercato prima la democrazia attecchisce meglio.
Sarebbe un discorso lungo, ma quello che qui ci interessa è sottolineare che la diplomazia politica e commerciale di Berlusconi, nutrita anche dei suoi rapporti personali (e quando non è stato così?), permette all’Italia di fare affari e facilita i rapporti internazionali di quei Paesi e ne scongiura l’isolamento. Questo basta perché quei Paesi escano dalle zone d’ombra che li caratterizzano? Certamente no, ma la politica internazionale non si fa pensando al migliore dei mondi possibili ma al migliore dei peggiori.
Gli accordi con la Libia raggiunti dopo cinquant’anni dal periodo coloniale, con conseguenze politiche sulle politiche migratorie e su quelle energetiche per il nostro Paese sono un bene o un male? L’ingresso della Russia nella Nato e i recenti accordi tra Stati Uniti e Russia per la riduzione delle armi nucleari strategiche cui certamente il nostro presidente del Consiglio ha collaborato in modo sostanziale sono un bene o un male? E cosa dire della mediazione italiana per l’accordo su Rasmussen alla Nato da parte di Erdogan? E cosa dire degli innumerevoli accordi produttivi e commerciali portati a termine da aziende italiane, Eni ed Enel in testa, con aziende di questi Paesi?
Forse questo angolo visuale aiuta a capire di più e, in certi casi più disperati, a capire proprio.

© 2010 Il Giornale. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK