Silenzio post-elettorale

Chiamalo, se vuoi, «silenzio elettorale». Silvio Berlusconi, animatore del Villaggio Globale, tace da sabato scorso. Centoventi ore filate di blackout comunicazionale. Non era mai successo, tranne brevi sparizioni a cavallo di ferragosto. Un'eclissi di corpo e di voce che da la misura del dolore e del rancore per lo schiaffo subito dal Cavaliere a Milano, tra la sconfitta personale e il tracollo della Moratti. Nel vuoto strategico e mediatico, la Struttura Delta fatica a dispiegare uno «spin» convincente. E proprio questa difficoltà spiega il silenzio del premier. Si fronteggiano due scuole di pensiero. La prima (sallustiana): esasperare i toni, «épater les bourgeois», terrorizzare i «moderati» sul pericolo che, con quel terrorista di Pisapia sindaco, i feroci leoncavallini si abbeverino in Piazza della Scala. La seconda (ferrariana): resettare il cervello degli elettori, spiegargli che la X posta sulla scheda al primo turno non conta, è un esercizio di stile o uno sfogo di umore, e che l'unico voto vero è il ballottaggio. Trattare i milanesi come scolaretti: domenica scorsa era ricreazione, ma ora è suonata la campanella. Tra due domeniche si torna in classe, e si obbedisce alla maestra. In silenzio. E soprattutto in Letizia.
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