In silenzio, il leader Pd ha lanciato la sua corsa

Dalla Rassegna stampa

Sulla nuova legge elettorale lo stallo è completo. La forte pressione venuta dal Colle in questi giorni e i due incontri avuti ieri da Monti con Bersani e Alfano non hanno purtroppo sortito alcun esito. Se ne ricava che anche l’ipotesi di una conclusione anticipata della legislatura, legata all’approvazione della riforma, si allontana. Con tutti quelli con cui ha parlato ieri (in serata ha avuto anche un lungo incontro con Casini e Fini), Bersani ha preso tempo, spiegando che non si fida del Pdl e che un accordo all’indomani dello sgambetto subito al Senato sul semipresidenzialismo è inaccettabile per il Pd. Siamo insomma nuovamente tornati alla fase delle pregiudiziali. Ed è evidente che il segretario del Pd, sulla carta favorito alle prossime elezioni, pur sapendo che alla fine la riforma andrà fatta, teme che l’obiettivo degli altri due partiti della maggioranza sia di fare una legge il più proporzionale possibile, per far sì che chi vince non sia automaticamente in grado di formare un governo subito dopo il voto, e debba necessariamente riaprire le trattative con gli altri per formare una maggioranza in Parlamento.

Sta tutta qui la differenza tra il premio al partito, chiesto da Alfano e gradito a Casini, e il premio alla coalizione, che, pur con tutti i se e i ma legati alle ultime esperienze delle variegate alleanze di centrosinistra, trasformerebbe Bersani quasi automaticamente nel candidato alla guida del governo di una coalizione che potrebbe puntare alla vittoria, soprattutto con Casini alleato.

Il leader dell’Udc, al suo solito, media. Sul ripristino delle preferenze (a cui il Pd contrappone i collegi, un po’ come accadeva col Mattarellum), potrebbe anche trovare l’intesa. Ma il problema, non sfugge a nessuno di quelli che stanno trattando, non è questo o quel tecnicismo, che può influire fino a un certo punto su un risultato elettorale che nessuno è in grado di prevedere. Il punto è un altro: mentre infatti Casini è convinto che dopo il voto, quale che sia il risultato, non c’è altro da fare che rinnovare il mandato a Monti, magari per un governo tecnico-politico sostenuto sempre dalla stessa maggioranza, e mentre Alfano e Berlusconi vedono in questa prospettiva la possibilità di mantenere una quota di potere, senza andare all’opposizione, anche in previsione di un risultato che s’annuncia problematico, Bersani la pensa in un altro modo. In silenzio, e mantenendo un atteggiamento responsabile in Parlamento sui provvedimenti del governo, il segretario Pd ha cominciato un’operazione di sganciamento da Monti e dall’idea di proseguire con la grande coalizione anche dopo il 2013. Non si nasconde le incognite: ma stavolta Bersani ha deciso di giocare fino in fondo la sua partita.

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