Siamo ancora ulivisti

Lo scontro tra Mara Carfagna e Alessandra Mussolini per il primato a Napoli e in tutta la Campania è condotto in queste ore con tutte le armi del più becero maschilismo, di cui solo una donna invidiosa di un'altra può essere capace. Quello scontro mi ha convinto ancor più che solo attraverso elezioni primarie per tutti gli incarichi sarà possibile uscire dall'apparatismo del centrosistra, dal coschismo del centro e dalla investitura feudale del berlusconismo. Ci riflettevo ascoltando, nella Sala delle Colonne di palazzo Marino, la presentazione che Dario Franceschini e Beppe Vacca facevano del bel libro di Chiara Geloni Highlander.
E mentre i due presentatori, eredi del togliattismo "crociano" e del cattolicesimo sociale, analizzavano presente e futuro del partito alla luce dei reciproci innamoramenti del passato, mi ricordavo di Kierkegaard, che diceva: «La vecchiaia realizza i presentimenti della giovinezza». Per evitare che la politica si risolva in scontro tra antichi filosofi e nuove "vaiasse", spero che prevalgano le opinioni di Prodi e Bersani. Il primo giudica i partiti di oggi «leggeri», sicché «è giusto che la fase di selezione dei candidati passi agli elettori». Il secondo contrappone la democrazia degli elettori alla «democrazia personale» (definizione fin troppo soft) di Berlusconi.
E dunque approda allo stesso giudizio del professore. Primarie con qualche aggiustamento, dice. E forse l'aggiustamento da fare è davanti ai nostri occhi: il Pd dev'essere il partito leader del centrosinistra per cultura e non per numeri, non un partito concorrente fra i vari che lo compongono. Dovrebbe dunque rapportarsi alle primarie come "gestore" e garante delle regole, puntando meno alla tessere e più alla qualità dei concorrenti quale emerge dal giudizio comune o prevalente fra gli elettori, la cui iscrizione negli elenchi dei partecipanti dev'essere preventiva e pubblica. Capita invece che nel Pd, proprio mentre si dibatte elegantemente su highlander e giovani, e nel centrodestra il vicolo napoletano corre ad aggiungersi alla mafia peninsulare e alla nuova meritocrazia servile, Bersani-Fassino-D'Alema debbano confrontarsi pro o contro Chiamparino per le primarie nazionali; il quale a sua volta si autoqualifica il Vendola del Nord, mentre il pugliese guadagna antipatie al Nord definendo la Lombardia la regione più mafiosa d'Italia; e mentre a Bologna, in mancanza delle prodiane regole di gestione, spuntano sei candidati sindaci, come funghi dopo la pioggia. Per risparmiarci (o almeno ridurre) questo brutto annaspare nelle non regole, occorrerebbe che il Pd si facesse più garante che parte del gioco. Un contributo decisivo ad acquistarne la capacità deriverebbe, secondo noi, dal ritorno alle originarie culture dell'Ulivo: che non erano soltanto quella socialista (postcomunista) e quella cattolico sociale (postdemocristiana), ma, se è permesso citare la parola, anche quella liberale: le tre grandi culture della Costituzione. Che furono appunto tre, e non due, anche se nelle strade della prima repubblica i due, come gli amanti nella canzone di Wilma Goich, «non sperano però si van cercando».
Confessa il vecchio amico Domenico Rosati, presidente delle Acli, intervistato fra gli Highlander: «A me sembra, guardando lo sviluppo storico, che Dc e Pci, anche quando si combattevano, in qualche modo si cercavano». E Giovanni Galloni spiega la differenza coi partiti della destra di oaai, ricordando che i partiti repubblicani, diversi fra loro per programmi, sono comune espressione della Costituzione: sicché «è lecito oggi compiacersi con Fini che vuol dare al paese una destra costituzionale». Ma allora perché socialisti e cattolici, che la cultura costituzionale l'hanno fatta per due terzi, trovano così faticoso convivere nel Pd, dopo essersi cercati e trovati?
La mia opinione è che il Pd non doveva essere un matrimonio ma un'unione, che comprendesse con pari dignità e ruolo quei liberali chiamateli pure di sinistra, se serve a distinguerli dai liberisti della destra - che fin dall'inizio sono stati con Prodi; come fin dall'inizio avevano dato alla vigente Costituzione l'identico contributo delle altre due culture, e i primi presidenti alla repubblica. I liberali hanno portato nella Costituzione i contenitori istituzionali, nella continuità storica della nazione: in essi, cattolici e marxisti hanno versato contenuti sociali e progressisti. Prodi nel 1995 se ne ricordò bene: e nel fondare l'Ulivo non pose discriminanti volontarie o involontarie come quelle che forse hanno incentivato le fughe dal Pd o i dubbi delle varie anime liberali: la conciliatorista di Rutelli, la sinistra di Zanone, la radicale di Pannella, attivissima ma imbronciata. Come Franco Monaco (vedi Europa di sabato) «mi atterrei alla rotta fissata a settembre da Bersani, un nuovo centrosinistra imperniato su un nuovo Ulivo proposto alle forze che hanno fatto un'esplicita scelta di campo».
La residua cultura liberale e liberal può contribuire a riportare nel Pd l'attenzione al "senso dello stato" e alle regole della convivenza, che lo promuoverebbero guida non solo numerica del centrosinistra e gli consentirebbero comportamenti migliori: per esempio, nel vedere le primarie come momento fondativo non del partito ma della coalizione e del suo futuro governo; a esaltarsi nella differenza tra chi offre ai cittadini quattro candidati per scegliersi il sindaco di Milano e chi impone loro la scelta investendo la sindachessa con editto personale, tra chi entra in lista nell'ordine voluto dagli iscritti elettori e chi per gusto dal satrapo o per stirpe con conseguenti piazzate da trivio.
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