Si riparte da zero, ma sul ring restano in quattro

Massimo D’Alema o Romano Prodi. Le “puntate” di ieri nel corridoio dei passi perduti a Montecitorio indicavano solo i due ex premier come possibili nuovi campioni della corsa verso la presidenza della Repubblica. Nomi di rottura, per motivi opposti, quelli dei due ex premier, che appaiono però gli unici in grado di superare il quorum se non alla terza almeno alla quarta votazione. Il primo è il più giovane in lizza (63 anni) ed è in grado di dialogare maggiormente con il centro e il centrodestra, il secondo (74) è più accreditato sulla sponda grillina ma non dovrebbe spiacere a parte del centro. Ma la partita è su un terreno ostico e scivoloso, non sono escluse sorprese. E la lista dei possibili inquilini del Colle, per forza, si allunga. Formalmente, tra l’altro - e fino a quando Dario Franceschini non troverà la forza di dirgli che è finita - resta in gioco anche Franco Marini (80 anni). Impallinato da più fronti in prima votazione, per qualcuno addirittura delegittimato nella seconda, l’ex presidente del Senato ha davvero chance vicine allo zero. Ma il suo stile di combattente gli impedisce di gettare la spugna. Non la getta affatto, poi, Stefano Rodotà (80). L’ex parlamentare Pds ieri ha ringraziato i grandi elettori che lo hanno premiato e Beppe Grillo ha annunciato la sua permanenza in griglia fino «alla quarta votazione», aumentando la conta di una tornata rispetto a qualche giorno fa. Già, perché alla fine l’M55 ci crede. Ci crede che i democrats, magari in ordine sparso, possano arrivare. In cambio, pur senza metterlo nero su bianco, i grillini lascerebbero al Pd carta bianca sul governo, garantiti come sarebbero dal «loro» presidente della Repubblica. Sussurravano alcuni, ieri, che Vito Crimi si starebbe muovendo proprio su questi binari con la diplomazia avanzata bersaniana.
Non si può poi non inserire in lista Sergio Chiamparino (64 anni). A pensarci bene, hanno detto in molti, il vero jolly che Bersani non ha saputo cogliere nel mazzo. L’ex sindaco di Torino, amato al nord, stimato al sud, capace di confrontarsi con la Lega e uomo di valori unificanti, avrebbe avuto buone chances. Unico neo, per l’establishment Dem, la vicinanza a Renzi. Il quale, infatti, ieri lo ha trasformato in una smagliante bandiera del renzismo: candidato di bandiera a sorpresa in mattinata, sostenuto dai centristi nel pomeriggio in un grande exploit. Bersani, però, a questo punto non gli si può arrendere e Chiamparino, ancorché oggi tornerà a mietere voti, potrà tornare utile un domani come (super)ministro.
Votata, anche, Emma Bonino (65). L’ex commissaria Ue, come Prodi, è stata accettata nel tempio delle Qurinaie di Grillo, quindi ha una quotazione preziosa. Ancor più perché, a ben vedere, possiede delle royalties pure in casa Pdl, quindi ha tutte le carte in regola per ottenere una «convergenza larga per il bene del Paese». Non piace ai cattolici, vero. Ma a qualcuno sì e potrebbe bastare persino per superare al primo colpo quota 672. Bisognerebbe solo volerlo. Il problema, però, è che quando si esce dalla teoria e si va sulla pratica, il sostegno Bonino perde sempre qualcosa.
Quindi si arriva nel quartiere degli outsider, dei giudici Costituzionali che tanto piacciono per il Quirinale e che mai ci sono stati. Uno, Sergio Mattarella, è stato un politico (postdemocristiano) di rango e più volte ministro. Ha 71 anni, è di are a cattolica ed è un ideale profilo per le larghe intese, ma difficilmente crea pulsioni sui 5 stelle. Meglio allora Sabino Casse se, più distaccato, più anziano (77), ritenuto “vicino” a Giorgio Napolitano, di una serietà impeccabile e mai schierato: nell’ottica di riserva della Repubblica, quando non occorrono economisti, ha il pedigree ideale. In qualche modo, allora, sarebbe ancor più algida la scelta di Franco Gallo (76 anni), da pochissimo designato presidente della Corte costituzionale, anch’egli uomo di fiducia del Quirinale. Due nomi, questi ultimi, che non possono creare problemi a nessuno: scelte neutrali e di garanzia. Ma ancora una volta, non politici. E la scelta tecnica, oggi, non paga molto.
Ecco dunque che il ventaglio di proposte che i democratici dovranno valutare oggi parte proprio da D’Alema e Prodi. Spiegava bene, ieri, in Transatlantico un autentico big del partito: «A questo punto chi ha più filo tesse». D’Alema sulla carta ha più numeri nel Pd e dalla sua parte c’è un sicuro apprezzamento di Berlusconi e dei singoli parlamentari di centrodestra. Mentre i prodiani, che pure hanno zone d’ombra nel partito, sono convinti che il Professore potrebbe “pescare” più facilmente tra M55 e Scelta Civica. Con un’ultima variabile: attorno al nome di Prodi sono tornati a parlarsi due giovani democratici considerati in costante ascesa: Renzi e Civati. D’Alema lo sa e ha cominciato a tessere la sua, di tela. E l’uomo che meglio conosce il partito e l’intero mondo politico. Ha una notte di tempo. Se capirà che il momento è propizio giocherà la sua partita. Renzi conosce i rapporti di forza e potrebbe ritirare le sue truppe.
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