«Si accorgeranno presto che non sono finito»

L'umore è esposto ai rovesci della politica, come il suo governo, ma nonostante tutto sembri congiurare contro di lui, Berlusconi è convinto di portare a termine «il progetto», «e non mi curo se mi danno del "nonnetto", se dicono che mi sono imbolsito, che sono finito. Se ne accorgeranno presto. Io non me ne andrò fino a quando non avrò dato vita al più grande ricambio generazionale della storia».
Ed è un messaggio ai naviganti del Palazzo, un avviso a quanti - alleati presunti e avversari manifesti - vorrebbero raccoglierne l'eredità elettorale come si trattasse già di un «de cuius» della politica. Il Cavaliere lo sa, perciò tesse e disfa la tela come una Penelope, si acconcia a una trattativa sulla giustizia a cui non crede, dice di voler portare a compimento la legislatura, ma intanto si prepara alla battaglia delle urne, coprendo con sessantunomila «Team della Libertà» tutte le sezioni elettorali a cui dovranno dedicarsi i «missionari» del Pdl. E non c'è dubbio che il governo corra il rischio di naufragare tra le Scilla e Cariddi del Parlamento. Ma il premier confida di «tornare a vincere» nel Paese, prima di lasciar spazio «ai giovani che ho messo all'opera nel governo»,e che nelle sue intenzioni e con il suo sostegno, «quando sarà il momento» l'avranno vinta sulla generazione di politici che fin dal'94 aspettano di succedergli. Dei proci osserva le mosse, prende le contromisure, saggia costantemente la forza elettorale attraverso gli amatissimi sondaggi. Per evitare che Tremonti cedesse alla tentazione, e mordesse la mela offertagli dal Pd e da Fini sotto le sembianze di governo tecnico, Berlusconi ha stretto un patto, «un altro», con Bossi. Del terzo polo ha una pila così di report, dai quali risulta che il 3o% dell'opinione pubblica si mostra interessata all'operazione. A suo dire, però, «tutti insieme Fini, Casini, Rutelli e Montezemolo sono troppi. E divisi sono deboli».
Il Cavaliere è già in campagna elettorale, se è vero che del presidente della Ferrari ha voluto persino testare l'indice di gradimento «potenziale», nel caso in cui cioè la scuderia di Maranello vincesse il Mondiale di Formula Uno. Perché alle elezioni tutto va calcolato, e nelle urne un Alonso iridato può valere percentualmente quanto un Ibrahimovic scudettato: un punto, un punto e mezzo di consensi. Il resto è un pericoloso e complicato gioco di Palazzo, che ruota attorno a una trattativa, l'ennesima, sulla giustizia. Ma non è attorno al nuovo lodo Alfano che si starebbe cercando l'intesa con il Fli, bensì sul processo breve. «E su questa legge che si sta lavorando», racconta infatti La Russa, che spiega perché, «se facessimo una trattativa sul lodo, saremmo noi a fare un regalo a Fini e non viceversa»: «Intanto per l'approvazione di quelle norme costituzionali servirebbe almeno un anno. Il tempo cioè che serve al Fli per organizzarsi. E chi ci dice che fra un anno, magari all'ultima lettura, i finiani non cambino idea? Così noi saremmo al punto di partenza, mentre loro avrebbero raggiunto l'obiettivo». È solo sul processo breve che si può discutere, insomma, ed è chiaro che si tratta di un fuoco fatuo. «Ma almeno - chiude il ministro della Difesa - si chiariscono le cose. Basta con questa storia che al presidente della Camera starebbero a cuore gli interessi dei cittadini. Centinaia di cause vanno ogni giorno in prescrizione, e di queste non se ne cura. La verità è che lui ha solo in testa Berlusconi».
E Berlusconi ha in testa Fini, al quale ieri si è rivolto con un paio di passaggi molto ruvidi, proprio sulla giustizia. Prima rettificando «quello che stoltamente è stato detto, e cioè che vorremmo fare una riforma contro i magistrati». Poi ribadendo la tesi più volte smentita da Fini - di un «patto» stretto dall'ex leader di An con i giudici per colpirlo. Il Cavaliere non ha mai citato il cofondatore del Pdl, ma tutti hanno capito a chi si riferisse quando ha parlato di «magistrati che usano la giustizia per fini politici» e di «forze che sono scese a patti con queste toghe, dalle quali hanno ricevuto in cambio protezione, e alle quali hanno garantito che non faranno mai passare la nostra riforma». Un conto è votare insieme la fiducia, un conto è fidarsi. E il Pdl non si fida del Fli. Lo ammette Bondi, sostenendo che «Fini lavora a logorare il governo». Lo ribadisce Verdini, raccontando che «a Fini sarebbe piaciuto perdere le elezioni regionali». Lo dice Berlusconi, parlando del governo tecnico, «un'ammucchiata con cui la sinistra fa l'occhiolino a Fini e Casini». Tutti usano toni da campagna elettorale. Tutti sono pronti alla sfida in Parlamento, «sicuri - dice La Russa - che si andrebbe al voto con l'attuale esecutivo». «Perché - aggiunge Verdini - sarebbe difficile per chiunque, compreso il capo dello Stato, formare un'altra maggioranza nelle Camere». E se ci provassero - avvisa il premier - «noi sapremmo come reagire». Berlusconi sa che il tempo non gioca a suo favore. E il tempo rimasto gli serve per non lasciare la sua eredità elettorale a quanti vorrebbero spartirsela già adesso: «E io non me ne andrò finché non avrò portato a termine il mio progetto. Il più grande ricambio generazionale della storia».
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