Lo sfogo a Palazzo Grazioli: "Ho toccato interessi forti"

Dalla Rassegna stampa

Ieri mattina era affranto. Claudio Scajola è tornato a pensare al fantasma di Marco Biagi, quando per alcune sue affermazioni fu costretto al passo indietro. A volte il passato ritorna se dopo aver letto il Corriere della Sera il ministro alle Attività produttive ha pensato di dimettersi. «Sono schifato da questa politica.
Soldi in nero? Immobili? Io ho soltanto una casa a Roma e me la sto pagando con il mutuo», si è sfogato al telefono con un senatore. «E la solita vergogna della violazione dei segreto istruttorio, il solito processo sui giornali, io di queste cose non ne so nulla». Poi, piano piano è montata la rabbia: «Posso aspettarmi questo attacco da Repubblica, ma non dal Corriere. Il problema è che ho toccato interessi troppo forti e forse mi sono esposto troppo...».
Ecco la spiegazione, il motivo del "complotto" dietro l’inchiesta sul G8. «Ci sono i poteri forti... Ho toccato troppi interessi: il petrolio, la benzina, gli incentivi, il nucleare...». Scajola con i suoi ha chiamato in causa il compito assegnatogli da Berlusconi: «Ma non vi sembra strano - si è interrogato con alcuni deputati del Pdl al telefono - che proprio quando Silvio annuncia l’avvio del nucleare in Italia partono le accuse nei miei confronti? In questo momento di fibrillazione stanno cercando di destabilizzare il governo, questa è la verità...».
Nel primo pomeriggio, dopo aver annunciato di non volersi fare intimidire, è andato dal presidente del Consiglio per studiare il da farsi. Il premier è stato netto: «Vedrai, finisce tutto in una bolla di sapone, in una settimana tutto sarà dimenticato, accadrà come con Bertolaso».
Un esempio che non ha risollevato l’umore del ministro: «Io sono un uomo di rigore, se vuoi prendo le distanze anche questa volta e mi dimetto», ha insistito Scajola. «Non ci pensare proprio. Voglio che continui il tuo lavoro, voglio il nucleare in questo Paese», è stata la risposta del premier. Il ministro, però, ha chiesto chiarezza. Al di là dei riferimento ai gruppi forti, dalla Fiat all’Eni, Scajola ha pensato anche ad un’altra manovra. «Non vorrei - ha spiegato a Berlusconi - che dietro queste accuse ci fosse anche una manovra di qualcuno nel partito...». Nessuna accusa specifica a Tremonti con il quale non c’è mai stato un grande rapporto. Berlusconi ha subito stoppato qualsiasi illazione: «Claudio, hanno semplicemente
pensato che non potendo attaccare me, ora puntano ai miei ministri». Il problema è che nel Pdl (i finiani) c’è chi è pronto a sollevare la "questione morale"e ad attaccare il ministro. «Di Gianfranco non ci dobbiamo più preoccupare, lui se parla fa la fine di Bocchino», ha tagliato corto il premier. Due giorni fa Berlusconi incontrando alcuni senatori a palazzo Grazioli ha raccontato di aver passato «un anno orribile». Nel resoconto il premier è partito dal caso Noemi per passare alle accuse di mafia e alla statuetta di piazza Duomo. «E ora Gianfranco, mi ha ferito allo stesso modo...». Berlusconi non poteva sapere che da lì a poco sarebbe scoppiato il caso Scajola, che sei mesi fa era finito nell’occhio dei ciclone: il Cavaliere aveva pensato di spostarlo al partito. Ora un nuovo attacco: «Ci mancava solo questa...», sospirava con i collaboratori a tarda sera il Cavaliere.

© 2010 Il Secolo XIX. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK