La sfida dei «renziani» anche sui referendum

BARI. Uniti negli obiettivi, divisi nella tattica. Dalla direzione nazionale del Pd non arrivano certezze per i democratici pugliesi, che qui e là si stanno sparpagliando tra l’adesione a Matteo Renzi, sempre più radicato anche nel tacco d’Italia, e quella all’establishment del partito, che vorrebbe fare quadrato attorno al governo Letta e difendere la segreteria dall’«assalto» del sindaco di Firenze. Donde la necessità, un po’ per tutti (o quasi), di rimanere «sotto coperta», in attesa che sia più chiaro il quadro a Roma e, probabilmente, il «carro» su cui lanciarsi per evitare di finire nella minoranza del partito. Le acque, in verità, si sono mosse parecchio negli ultimi mesi tra i Democratici: da un lato hanno cominciato a spuntare come funghi i comitati pro-Renzi (impensabili sino a pochi mesi nel «feudo» dei dalemiani); dall’altro si sono cominciati a scaldare i motori per i prossimi appuntamenti elettorali (la sfida a sindaco di Bari e poi le Regionali) e per quelli - più imminenti - della segreteria del partito, per la quale si andrà a primarie così come per Roma. Ecco spiegati da un lato il fiorire di candidature a sindaco per successione di Michele Emiliano, pronte a fare marcia indietro nel caso il parlamentare Antonio Decaro - gradito sia ai «renziani» che ai «dalemiani» - sciolga la riserva; dall’altro le voci sulla successione del segretario Sergio Blasi, che alcuni vorrebbero assegnare a Michele Bordo (già segretario regionale e oggi alla guida della commissione Politiche Ue della Camera) mentre altri (i baresi guidati dal consigliere regionale Mario Loizzo) affiderebbero ad un altro parlamentare (nonché segretario provinciale a Bari), Vito Antonacci.
Sfide sul territorio a parte, è la «linea» politica - assai divisa tra sostenitori e detrattori di Matteo - a farla da padrone. Con il presidente del partito pugliese, Emiliano, che non perde giorno per ricordare quanto sia indispensabile la discesa in campo del sindaco di Firenze. «Lo ribadisco: cambiamo la legge elettorale e torniamo a votare - ha scritto nei giorni scorsi su facebook - l’esperimento delle larghe intese è finito». A maggior ragione dopo il caso Berlusconi-Esposito, sostiene Emiliano, è impossibile ipotizzare riforme costituenti o una nuova legge elettorale con un governo che costringe alla mala-convivenza il Pd con il Pdl. Esattamente la stessa tesi che, fuori dal campo del Pd, va declamando il governatore della Puglia e leader di Sel Nichi Vendola. L’allarme resta alto soprattutto nelle fila dei renziani, che non vedono l’ora di ridare slancio ad un partito apparso barcollante e, soprattutto, vorrebbero il loro leader a capo di un governo meno claudicante e «colluso» col Pdl di quello messo in piedi da Letta. «Temo che questo partito sia ormai a un passo dalla deflagrazione», va ripetendo Antonio Maniglio, da tempo impegnato in Salento a sostegno di Renzi assieme ad un gruppo di consiglieri regionali (Marino e Ognissanti nel Foggiano, Caracciolo nella Bat, Epifani nel Brindisino e Degennaro nel Barese). Chi più apertamente, chi meno, nessuno di loro vede di buon occhio un partito che manifesta «diffidenza e chiusura verso il nuovo», spiega Maniglio, con quelle baruffe sulle regole delle primarie (candidato premier o candidato segretario?), per le quali modificare lo Statuto del partito, che sembrano tanto misure «contra personam, per impedire a Renzi di mettere a disposizione del Pd la sua po- polarità». In una parola: «un harakiri». C’è chi si tiene fuori dal dibattito interno, come Ruggiero Mennea, tenendo a precisare che la sua partecipazione al vertice dei renziani di fine luglio a Bari era solo «nelle vesti di osservatore».
C’è chi, invece, nel dibattito ci entra volentieri e a gamba tesa, come Fabiano Amati, spingendosi a sposare battaglie riformiste persino condivise dal Pdl e sulle quali, sinora, il Pd ha significativamente taciuto. «Ho deciso di sottoscrivere i quesiti referendari promossi dai Radicali. Considerato il fatto che gli argomenti attengono al cambiamento e alle riforme di cui il nostro Paese ha bisogno - dice Amati spero che tutti i dirigenti, iscritti ed elettori del mio partito possano aiutare una causa che mi sembra molto contigua alla nostra idea della libertà, dei diritti e dei doveri». Dall’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti al divorzio breve, fino alla libertà di scelta nella destinazione dell’otto per mille, secondo Amati si tratta di temi su cui il centrosinistra non dovrebbe tirarsi indietro. E non dovrebbe farlo nemmeno sugli altri quesiti (responsabilità civile dei magistrati, separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudicanti, rientro nelle funzioni dei magistrati fuori ruolo e stop all’abuso della custodia cautelare) che hanno già raccolto la piena adesione del Pdl pugliese (il gruppo consiliare tenne in proposito una conferenza stampa per annunciare il sostegno). Per tutti i 12 quesiti referendari per i quali è partita la raccolta di firme (da concludersi entro fine settembre), Amati troverebbe utile che l’iniziativa «sia accompagnata dal sostegno chiaro e magari "chiassoso" della parte politica a cui appartengo: non c’è pagina della più antica cultura riformista che non abbia speso argomenti di condivisione per queste battaglie. Troverei davvero stupefacente che su questi argomenti si possa consumare un paradosso: quello del silenzio di soggetti che nell’attività pubblica dovrebbero predicare le riforme, ed è il caso del mio partito, e l’adesione convinta di parti politiche (il Pdl, ndr) che si chiamano alla mobilitazione anche per contingenti motivi di lotta politica».
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