Ci serve lei, il "monellaccio di Montecitorio"

Dalla Rassegna stampa

L’elezione del Presidente della Repubblica avverrà in circostanze assai contraddittorie. È il momento principe della democrazia politica, e proprio per questo, stavolta, riassumerà in sé tutti gli aspetti più clamorosi della crisi della democrazia politica. Innanzitutto apparirà davvero incongruente il metodo dell’elezione; si sceglie il personaggio più importante e con maggior potere di tutto lo Stato, gli si dà un mandato lunghissimo, di sette anni (nessuna carica politica nel resto dell’Occidente ha una scadenza così lunga) e lo si fa senza ricorrere al voto popolare ma assegnando il compito alla mediazione tra i partiti. Vi pare una cosa normale? Vi pare che possa essere indolore per la democrazia? Il fatto che per quasi settant’anni le cose siano andate così non cambia la sostanza del problema: negli scorsi decenni il ruolo del Presidente della Repubblica era limitato e il suo intervento nel governo del Paese praticamente inesistente.

Oggi, nella Costituzione di fatto, è cambiato tutto - già dai tempi di Scalfari, ma in modo clamoroso con la presidenza di Napolitano - e il capo dello Stato è effettivamente il numero 1 della Repubblica. È una cosa molto complicata mettere in discussione - e tutti lo fanno - la partitocrazia e poi decidere che però il presidente della Repubblica debba essere scelto non dal popolo ma dalla partitocrazia. Per di più stavolta si pone la questione di un Parlamento diviso in ameno tre “frazioni” che comunicano poco e difficilmente possono trovare un accordo. I grillini hanno come parola d’ordine: accordo mai e con nessuno. Il Pd sarebbe anche disposto a trattare con Berlusconi, ma non ad accettare un candidato di Berlusconi, il quale invece vuole decidere un suo candidato per riequilibrare 16 strapotere Pd nelle istituzioni. Il centrosinistra dispone nelle Camere riunite (con aggiunta dei delegati delle Regioni) di 496 seggi. Per eleggere il presidente occorrono 504 voti e, di norma, in una elezione presidenziale, qualunque schieramento deve prevedere un 5 o anche 10% di “franchi tiratori” (cioè propri parlamentari che non rispettano l’indicazione di voto). Diciamo che per essere sicuri di imporre il proprio candidato occorre disporre di almeno 550 voti. Si potrebbero avere, aggiungendo ai voti del centrodestra quelli dei gruppi centristi di Monti e Casini (66 voti). Ma si trova un accordo con loro che non spacchi il Pd? E soprattutto: il Pd è pronto ad andare allo scontro frontale con Berlusconi, escluderlo dalla scelta del presidente della Repubblica, sapendo di dovere poi pagare il prezzo delle elezioni anticipate?

Tutto questo rende molto difficile il compromesso partitocratico. E allora ci sono solo due soluzioni. La prima è di chiedere a Berlusconi di indicare un esponente del centrosinistra, prestigioso, a lui gradito. In questo caso hanno buone possibilità D’Alema o Marini o forse Violante. La seconda è di sparigliare tutto. E di compiere un atto di grande saggezza: trovare un compromesso partitocratico per battere la partitocrazia. Cioè scegliere un nome fuori dalla partitocrazia. Ce ne sono? Un paio: Marco Pannella o Emma Bonino. Ma Pannella ormai è anziano, e poi è troppo caratterizzato dal sovversivismo per potere andare a sedersi al Quirinale. Emma Bonino è la candidata perfetta: è fuori dalla partitocrazia, anzi l’ha combattuta e denunciata per tutta la vita; è una personalità specchiata; è lontana da tutti e tre gli schieramenti in lotta; è molto popolare; ha una grandissima esperienza istituzionale, in Italia e all’estero; è apprezzata, assai apprezzata in Europa; è il trionfo dell’innovazione, non perché sia estranea alla politica ma perché ha sempre fatto politica in modo innovativo; può portare dentro le istituzioni, anzi al vertice delle istituzioni, le grandi battaglie politiche e ideali delle quali da decenni è protagonista: le battaglie libertarie, la lotta per i diritti civili, l’impegno a fianco delle donne, l’opposizione al forcaiolismo e alla schifezza carceraria, il garantismo, la difesa più che strenua dello Stato di diritto e della laicità dello Stato, l’imparzialità...

Cosa può ostacolare una candidatura Bonino? Due fattori. Il primo è la rissosità dei partiti e l’eventualità che essi non siano in grado di mettere da parte i “bilancini” e di lasciare “libertà” alla scelta del capo dello Stato. La seconda è la Chiesa cattolica. Che non ha mai sopportato i radicali e che ha sempre avuto un gran peso sulle scelte politiche decisive per i poteri dello Stato italiano. Fino a qualche anno fa la Chiesa avrebbe agito per impedire l’elezione di Emma Bonino e ci sarebbe riuscita, perché ha sempre esercitato un discreto potere di convinzione su un numero molto alto di parlamentari. Ora le cose, però, sono un po’ diverse. Innanzitutto perché forse il numero di parlamentari che “risponde” alla Chiesa è diminuito, e poi - più significativamente - perché il nuovo papa ha dato l’impressione di essere anche lui un elemento fortemente innovativo che potrebbe cambiare profondamente i rapporti tra Chiesa e politica italiana. In senso laico. Non sarebbe molto divertente vedere un incontro ufficiale tra i papa Francesco e il presidente della repubblica italiana, Emma Bonino, quella che Sandro Pertini chiamava «il monellaccio di Montecitorio»?

 

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