Senza partiti non c`è governo

Dalla Rassegna stampa
Manca il punto d`unione tra attivismo civile e professionismo politico   
 
Cosa impedisce alla politica italiana  di farsi governo? L`interrogativo  può stonare rispetto alla gloriosa  retorica della seconda repubblica. Quella  secondo la quale gli italiani avrebbero  finalmente imparato la grammatica del  bipolarismo e i presidenti del Consiglio  godrebbero finalmente di una chiara investitura  popolare.. Può darsi. Ma intanto  anche questa legislatura si avvia a una fine  ingloriosa, identica a quella della legislatura  precedente.  Ingredienti del tutto diversi (Berlusconi  al posto di Prodi, una maggioranza ampia  e non risicata, partiti in numero limitato  e per giunta di nuovo conio) sono stati  amalgamati in modo da riprodurre un esito  del tutto uguale e deludente. Dove la  delusione era ieri quella degli elettori di  Prodi ed è oggi quella degli elettori di Berlusconi,  che in grande maggioranza avevano  votato per avere un governo che governasse  e non per trovarsi dopo pochi  mesi ad essere chiamati aun plebiscito cesaristico  scandito da dossier e palate di  fango nei ventilatori.  E dunque cosa impedisce ancora una  volta alla politica di farsi governo? Potremmo  cavarcela con il famoso "elemento  soggettivo". Oggi la classe politica  è meno attrezzata di quella di un tempo,  si dice. Si arriva in Parlamento senza  sufficiente preparazione, per meriti di  fedeltà e cooptazione, scelti da pochi capibastone  che si attendono di essere ripagati  con devozione. I vari capi e capetti  sono logorati da anni di permanenza  sulla scena e incapaci di avviare alcun  vero rinnovamento. I rapporti con il territorio  sono scarsi e unidirezionali, con  politici locali abbandonati a se stessi e  spesso divorati da malattie degenerati-  ve più gravi di quelle che affliggono gli  omologhi nazionali.  Tutto vero, così com`è probabilmente  vero che tra la coppia De Gasperi-Togliatti  e una qualsiasi coppia di politici a  noi contemporanei corre una differenza  qualitativa che è anche e inevitabilmente  soggettiva.  E tuttavia non basta prendersela con la  pochezza di questo o quel politico per capire  perché, ancora una volta, un`ampia  maggioranza parlamentare va eclissandosi  in questo modo. Né basta guardare  al peso dell`ideologismo post-novecentesco,  che ieri era quello neo-comunista di  Bertinotti e Pecoraro Scanio come oggi è  quello anti-nazionale di Bossi e Calderoli.  Occorre forse guardare alla malattia  che ha covato per tutti questi anni nel corpo  di un paese che è ormai compiutamente  bipolare, essendo stato educato da`un  quindicennio a scegliere tra leader contrapposti,  ma nel quale i soggetti del bipolarismo  sono in crisi ormai conclamata.  Quella malattia si chiama assenza di partiti  politici autentici, capaci quindi di funzionare  da punto di unione e reciproco  alimento tra attivismo della società civile  e professionismo di governo inteso come  dovere di ogni politico con mandato di  governo alla coerenza tra ciò che si è detto  e ciò che si è fatto.  Partiti che in questo senso siano autentici  esistono in tutti le nazioni comparabili  all`Italia. E dovunque garantiscono  che la politica diventi governo, guardando  al di là del momento elettorale e  misurandosi con i risultati. È l`esistenza  di un autentico partito conservatore  che permette a David Cameron di realizzare  un programma di governo efficace,  nonostante un esito elettorale confuso.  E un autentico partito cristiano-democratico  che favorisce la spettacolare ri-  presa economica tedesca, nonostante le  difficoltà di coalizione con cui deve convivere  Angela Merkel.  Il caso italiano, a quasi un ventennio  dall`avvio della "seconda repubblica",  racconta invece di "partiti nuovi" che si  sono rivelati incapaci di andare oltre il  momento elettorale. E che non hanno  mai funzionato da veri motori dell`azione  di governo, diventando spesso l`ostacolo  principale alla realizzazione di riforme  durature proprio perché concepiti  e costruiti per isolare la politica dal  mondo reale. I partiti a forte vocazione  ideologica, come la Lega o l`Italia dei valori,  possono sembrare un`eccezione  per il tenace legame di fede che unisce al  loro interno leadership e militanza. Ma  si tratta di partiti vocazionali legati a  un`unica missione (la frattura dell`Italia  nel caso della Lega, la damnatio di Berlusconi  nel caso dei dipietristi) e dunque  incapaci di contribuire a un`azione di governo  propriamente nazionale.  In realtà la scomposizione del Pdl a  cui abbiamo appena assistito, e alla quale  è probabile che faccia seguito un`analoga  scomposizione del Pd, è la certificazione  finale dell`assenza di veri partiti  nazionali dalla scena della lunga transizione  politica italiana. E se è pura fantasia  il ritorno ai partiti della prima repubblica,  che pure meriterebbero talvolta  di essere rimpianti dinanzi allo spettacolo  che oggi ci viene offerto, non resta  che prendere atto del paradosso di  un`Italia educata al bipolarismo elettorale  ma priva di partiti capaci di interpretarlo  anche come missione di governo.  Un paradosso con cui probabilmente  dovremo convivere fino al tramonto del  berlusconismo, che al solito rappresenta  12 misura più efficace per comprendere  questo nostro ventennio.

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