Senza Dio

Dalla Rassegna stampa

Senza Dio... Senza Dio! Che compiacimento poter esclamare, ad alta voce, "Senza Dio. Io sono un senza Dio". Sì, deve dare un senso profondo di soddisfazione, persino di ebbrezza, un po’ come il bambino impunito della marachella commessa. Mica tutti possono dirlo: nel fondo dell’anima anche dei più cinici sopravvive, dagli anni della odiata prima comunione o della temuta confessione, una sorta di oscuro, vago e superstizioso timor di Dio, che impedisce loro di pronunciare quel nome invano, figuriamoci poi se si tratta di negarlo. In quelli che possono, magari con uno sforzo, enunciare l’asserzione, si avverte un sentimento di compiaciuta vanità, come un immaginarsi giganti in un mondo di nani. Infatuati, gridano forte il loro motto, agitano la loro bandiera, sempre la stessa: "Nessun padrone, mai"! È il primo, e forse fondamentale, motivo di orgoglio del senza Dio. Ce ne informa l’autore - noto storico della scienza e filosofo - di un libro che al tema del senza Dio è dedicato, e da cui prendo le mosse.
 Per non personalizzare la faccenda, non lo nomino. Non è comunque lui il primo, né sarà l’ultimo, a dar credito a un atteggiamento che persino Pascal ammetteva potesse essere "un segno di forza". Il nostro filosofo riferisce che si possono dare due modi di essere "liberi pensatori", quello cattolico e quello protestante; il cattolico sarebbe "principalmente di natura politica" (ma è definizione che io non capisco); l’ateo protestante, di indole piuttosto "intellettuale", dirà piuttosto: "Mai e poi mai saremo disposti a rinunciare alla nostra libertà di stare in piedi davanti a qualsiasi Essere (nome o verbo che sia), anche ‘infinito e senza confini’, per ricevere in cambio quel gioco speculare di sottomissione (‘politica?’, suggerisco io, perplesso) che la pagina dei "Pensieri" rende così efficacemente". E precisa: "ateismo per me ora vuol dire niente abbassamento". Come volete che non si senta orgoglioso, gonfio di una orgogliosa presunzione? I senza Dio fanno largo uso di un espressionismo prometeico.
 C’è tutto un ventaglio di ragioni per le quali l’ateo professo ritiene di aver motivo di insuperbirsi. Il "senza Dio", oltre che contro la sottomissione, è contro la reverenza, la rassegnazione, l’autorità, la proibizione. Quella essenziale, anch’essa divenuta canonica, è il suo sentirsi partecipe del ‘metodo del sospetto’, nucleo fondante dell’atteggiamento "critico", di cui l’ateo e solo l’ateo può vantarsi fino in fondo, cosa che invece sarebbe impedita al credente, per il quale la parola di Dio trasmessa da una chiesa - è verità inconfutabile, non assoggettabile a critica o dubbio. Stando al nostro autore, l’atteggiamento dell’ateo può essere definito anche come "relativismo", a patto di non confonderlo con quella "caricatura del relativismo per cui non si darebbe più verità". Questa è "una posizione pressoché senza sostenitori", il vero relativista "non si oppone a verità ma ad assolutismo". Sul cosa sia la verità il nostro autore glissa, probabilmente anche lui consapevole che in secoli di elucubrazioni la filosofia non è giunta a conclusioni certe, eludendo la domanda, famosa da quando Pilato la sottopose senza attenderne peraltro la risposta - a Gesù: "Che cosa è la verità?" Una volta assicuratosi del possesso della verità, il nostro ateo metodologico dovrebbe però darci una coerente definizione anche di assolutismo. Si limita a elencarci una serie di "modelli di sottomissione" al verbo dogmatico, cioè assolutista. Comunque va avanti imperterrito nella esaltazione dell’ateismo, anzi nell’ammaestramento "del buon uso dell’ateismo".
 
 Tentativi inadeguati
Si premura in primo luogo di darci una definizione del tutto rassicurante: "Vedo l’ateismo non come una rete di dogmi (simmetrici a quelli di qualsiasi teismo), quanto piuttosto come un repertorio di strumenti, intellettuali e pratici, che riguardano il nostro modo di indagare l’universo e di scegliere il nostro destino" (ma il destino può essere scelto? C’è chi ne dubita). Anche l’ateismo ha i suoi problemi, e non tutti quelli che si proclamano atei o senza Dio forniscono buone ragioni per esserlo. Spesso, infatti,l’ateismo volgare" ha, come ci ricorda il nostro autore, i suoi bravi "dogmi" (adesso poi che a Ginevra i ricercatori del Cern, il Centro europeo per la ricerca nucleare, hanno scoperto l’antimateria, gli atei gongolano: "Dio c’ern", è la battuta in voga).
 Posso sbagliare: qualunque indagine su questo complesso di temi credo non possa né debba prescindere dal giudizio storico, storicizzato. Nella loro inestricabile reciprocità, i valori coinvolti sono parte integrante e decisiva della storia d’Europa e del mondo. Come ha detto di recente Marco Pannella (almeno, se l’ho capito), "il persistere delle voci delle teologie, per un millennio almeno, nel nostro occidente s’è confuso con molte delle massime nostre filosofie". Questo è l’unico punto di vista importante per giudicarli. Di fronte a secoli di riflessioni ponderose e ineguagliabili, ogni tentativo di collocarsi sul piano teoretico rischia di essere quanto meno inadeguato.

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