I senatori Pd a Bersani: "Cambiamo passo"

Dalla Rassegna stampa

Con il successo del Pd alle Regionali, diceva Pier Luigi Bersani alla vigilia del voto, «spediremo una letterina a Berlusconi». Intanto però la «letterina» è arrivata a lui. Indirizzata al «caro segretario» e firmata da 49 senatori sui 114 del gruppo, la missiva rivela il disagio dei democratici dopo il responso delle urne. Di fronte alla «portata dell’emergenza democratica scrivono i dirigenti "ribelli" il lavoro ordinario non basta più. Le liturgie della casa sono
stantie. L’imborghesimento ci tenta e arriva persino a coinvolgerci in scellerate trasversalità ammantate di riformismo». Lo stile è inusuale e colorito, ma le firme sono autorevoli e trasversali al partito, il che impegna il vertice del Pd ad aprire una riflessione. Il documento - sottoscritto anche da Marino, Casson, Serra, Carofiglio, Treu, Lumia, Franco, Garavaglia, Lusi, Pinotti, Nerozzi, Serafini e Carloni - è stato promosso da Gian Piero Scanu, sottosegretario alle Riforme nel secondo governo Prodi. Pianista e chitarrista ex diccì, il senatore è stato sindaco di Olbia e «ama cimentarsi in cover dei grandi cantautori, soprattutto di Fabrizio De Andrè di cui è stato amico personale e per la cui musica nutre un grande amore». Un grande amore il senatore Scanu lo nutre anche per il Pd e questa lettera, che a Bersani non ha fatto molto piacere, vuole esserne la conferma. «I nostri valori fondanti rischiano di vacillare sotto i colpi della sfiducia e di un neorelativismo che intossica le nostre coscienze per condurci verso la più colpevole accidia - si legge ancora nel testo -. Bisogna cambiare passo. Serve un supplemento d’anima». Che il Pd debba cambiare passo ora lo ammette anche il leader. Incalzato dalla minoranza, lo ha annunciato nel tormentato coordinamento di martedì notte. E lo ha ribadito al Tg3: «Dobbiamo prendere il passo». Di Pietro chiede di scegliere entro l’anno il candidato premier, ma qui Bersani frena: «Scelta prematura». Le critiche il leader se le aspettava, ma lo ha colpito, ammettono i suoi, «il tono» di Veltroni e Franceschini. Bersani si dice «aperto» e «disponibile» al confronto, però avverte: «Va bene discutere, ma non guardarci l’ombelico». Il segretario ha chiamato Scanu e si è detto pronto a incontrare i senatori
«ribelli». «E’ vero - conferma l’autore della lettera ha apprezzato il nostro contributo e dopo Pasqua ci incontrerà». Sicuro che abbia apprezzato, senatore Scanu? «No, ma Bersani è stato intelligente a dirlo». Al vertice del gruppo provano a derubricare la lettera come un fatto «folkloristico» e privo di senso politico. «E una sollecitazione al confronto - ammette il vicepresidente Nicola Latorre -. Ma nel merito la trovo discutibile». Dario Franceschini intanto torna all’attacco e affida a Twitter il suo pensiero: «Il Pd deve scegliere la strada del coraggio. Con l’ordinaria amministrazione e la somma delle sigle continuerà a vincere la destra». Ignazio Marino ironizza a Radio2: «Dimettersi Bersani? E perché mai? Il Pd non ha mica perso. Lo ha detto proprio lui al coordinamento...». Al «caminetto» ha parlato anche Massimo D’Alema. Ha difeso Bersani, raccontano, ma avrebbe anche ammesso che, se il centrosinistra ha perso, è anche perché «non c’era in campo una proposta alternativa credibile». E adesso Enrico Letta dice a Panorama che «sulle alleanze il Pd deve ripartire da zero».
Il responso delle urne rischia di dilaniare il partito. Nel Lazio, si è difesa Emma Bonino, nessuno dei dirigenti democratici ha voluto metterci la faccia al posto suo. E Giovanna Melandri smentisce. «Io la faccia ce l’avrei messa rivela l’ex ministra -. I dirigenti dei Pd lo sapevano, ma hanno preferito fare un’altra scelta. Quando è uscito il mio nome ho cercato Bersani almeno 13 volte, senza mai trovarlo. Comincio a pensare che, pur di non candidare uno della minoranza, come me o Gentiloni, abbiano preferito la Bonino». Il Pd può ripartire? «Sì, ma bisogna essere onesti nell’analisi del voto - chiede "verità" la Melandri - e non descrivere come una vittoria un colpo molto serio». E Giorgio Tonini invita Bersani a stare alla larga da «letture minimizzatrici o consolatorie». La pressione dei delusi è forte, il leader però non si tocca. Sarebbe un «errore gravissimo» ha detto all’Espresso Rosy Bindi: «Ogni anno cambiamo leader, fermiamo questa corsa suicida».

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