Se strumentalizzano anche Sciascia

Leonardo Sciascia è stato un grande scrittore e un finissimo intellettuale, che ha, sempre, manifestato opinioni, lucide e anti-conformiste, provocando polemiche, a destra come a sinistra.
Ma, rileggendo oggi, 32 anni dopo la tragica fine di Aldo Moro, i discorsi, che l’autore di Racalmuto, allora deputato radicale, pronunciò, quale membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uccisione da parte delle Brigate rosse (non "sedicenti" come le definì Giorgio Bocca!) del presidente della Dc e della sua scorta, molti di quegli interventi colpiscono e turbano, come severe profezie.
Di recente, Emanuele Macaluso ex senatore del Pci e siciliano come Sciascia ha pubblicato un libro, ripercorrendo i difficili e spesso conflittuali rapporti dello scrittore con il partito di Berlinguer. L’allora leader comunista si spinse a querelare don Leonardo, al culmine della polemica sulle presunte responsabilità di Stati, come la Cecoslovacchia, allora obbedienti a Mosca, nel sequestro di Moro. Come ha di recente osservato un altro intellettuale siciliano, oggi editorialista de "la Repubblica", il catanese Francesco Merlo, “Macalusouso, a 86 anni, preso dalla voglia di ritrovarsi con l’amico, alla fine della storia, quella che si compie nel regno dei cicli, dove il tempo non esiste, deforma, amabilmente, Sciascia, sino a farlo assomigliare a Macaluso, come da ragazzi, quando frequentarono la stessa scuola e poi anche la stessa cellula clandestina del Pci". Ma, poiché lo scrittore di Racalmuto è scomparso nel 1989, non si può, e non si dovrebbe, usare il suo, sempre stimolante, pensiero, trasferendolo nel vivo delle polemiche attuali, in primis quelle sulla giustizia. E spingendosi sino a punzecchiare il defunto e i suoi non pochi estimatori, pubblicando persino qualche elogio dei capi del Cremlino, espressi nei lontani anni Sessanta...
Macaluso, invece - ricordando il famoso articolo di Sciascia, pubblicato dal “Corriere della sera” il 10 gennaio del 1987 contro "I professionisti dell’antimafia” -, boccia, 23 anni dopo quella riflessione, il Guardasigilli Alfano, e altri esponenti politici del Popolo della libertà per la grave "colpa” di dichiarare di ispirarsi al garantismo sciasciano. E l’ex dirigente del Pci di don Enrico declassa quella fondamentale esternazione del suo vecchio, ma spesso dissenziente, amico a una semplice e benevola rampogna al Pci, sottovalutando le furiose reazioni, che provocò: dal figlio del generale Dalla Chiesa ad Eugenio Scalfari, che accusò lo scrittore di "vanità personale", sino agli insulti del comitato antimafia di Palermo, che giunse a dargli del "quaquaraquà" In realtà, il rimpianto autore de "Il giorno della civetta” si batté, sempre, per la difesa delle regole, bocciando le scorciatoie, anche se esse favorivano magistrati del calibro di Paolo Borsellino. Che era stato promosso dal Consiglio superiore della magistratura a capo della Procura di Marsala al posto di un collega stimato e con una maggiore anzianità di servizio. E, di fronte all’obiezione che l’esperienza di Borsellino nel campo dei reati contro la mafia era molto elevata, Sciascia rispose che un criterio simile non era stato adottato per Giovanni Falcone, avversato, ferocemente, dalla sinistra, politica e giudiziaria, e al quale, come capo dell’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo, era stato preferito Antonino Meli, più anziano, ma con minore competenza.
E, dunque, ha commesso un errore non lieve Roberto Saviano quando, nel suo celebrato pro televisivo anti-Berlusconi su Rai Tre, ha inserito Sciascia tra quanti avrebbero delegittimato i magistrati impegnati contro Cosa nostra. Lo scrittore non fu un “compagno che sbaglia”, come appare dal racconto postumo di Macaluso, il quale sottovaluta il fatto che Sciascia si allontanò dal Pci, soprattutto perché pensava di combattere, in Parlamento, a fianco dei radicali di Pannella, quelle battaglie, politiche e per i diritti civili, che riteneva di non poter fare più, come fiancheggiatore dei comunisti. Ritenendo Berlinguer, Macaluso e i suoi vecchi compagni. ormai, intenzionati a sacrificare la funzione critica e di aperta contestazione del sistema di potere della “Balena bianca” alla strategia del ‘‘compromesso storico” con la Democrazia cristiana.
I morti, soprattutto quelli del livello di Sciascia, non vanno utilizzati allo scopo di sollevare polemiche contro gli attori e i comprimari dell’attuale, non esaltante, teatrino politico. Hanno ragione, pertanto, quanti chiedono a Macaluso e a Saviano: "Lasciate in pace Sciascia!" È molto più utile, per tutti, sottolineare il valore delle sue analisi, profonde e attuali, e le sue proposte contro la mafia. Innanzitutto, quella, firmata, sul "Corriere della sera", il 26 gennaio del 1987: “Per combattere la mafia, la democrazia ha tra le mani lo strumento che la tirannia non ha: il diritto, la legge uguale per tutti, la bilancia della giustizia”. Ma, "se al simbolo della bilancia si sostituisce quello delle manette - come alcuni fanatici, in cuor loro, desiderano - saremmo perduti, irrimediabilmente, come nemmeno il fascismo c’era riuscito!".
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