Se è la Sicilia dell'antimafia a esportare legalità al Nord

Che il codice etico della Confindustria siciliana (quello che costringe gli associati a rifiutare non soltanto l’imposizione ma la logica del pizzo) venga adottato sull’intero territorio nazionale, è notizia che incoraggia tutti gli italiani che hanno senso dello Stato e in nessun modo accetterebbero di contribuire al perdurare dell’illegalità.
Qualche anno fa sarebbe stato impensabile sperare che il ministro degli Interni e il presidente della Confindustria si trovassero insieme al rappresentante degli imprenditori siciliani per firmare un protocollo d’intesa sulla legalità valido in campo nazionale.
«La palma va al Nord», scriveva Sciascia nel «Giorno della civetta», pubblicato quarantanove anni fa. E voleva dire che l’Italia si sicilianizzava, vulnerabile al contagio malavitoso e all’inquinamento del sentire civile. Ma ora il ministro Maroni, il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia e il suo omologo isolano Lo Bello, nel firmare il documento che impone agli imprenditori di rispondere all’imposizione del pizzo con la denuncia, non soltanto fa in mo- do che il contagio si arresti, ma che la metafora sciasciana della palma venga recepita al contrario: è la Sicilia che «civilizza» il Paese con un provvedimento che, se davvero applicato, se davvero praticato, spezzerà le gambe ai criminali della mafia, della camorra e della’ndrangheta.
Paradossalmente, la Sicilia si fa antidoto della malattia che ha diffuso. Ma un simile provvedimento va adottato nella convinzione che davvero lo Stato, in tutte le sue articolazioni, sia deciso a contrastare la violenza malavitosa, che davvero sia in grado di difendere coloro i quali diranno di no al pizzo, esponendosi alla rappresaglia.
Regole come quelle ora sottoscritte fanno onore alla civiltà, ma possono costare care. Su questo non vi debbono essere dubbi. E monaco di Mazzarino che, accarezzando il figlioletto del farmacista che si rifiutava di pagare il pizzo, diceva: «Quanto è bello, sembra vivo...», allora era immensamente più forte dello Stato. Siamo certi che oggi quel farmacista sarebbe totalmente protetto?
Qualche anno fa sarebbe stato impensabile sperare che il ministro degli Interni e il presidente della Confindustria si trovassero insieme al rappresentante degli imprenditori siciliani per firmare un protocollo d’intesa sulla legalità valido in campo nazionale.
«La palma va al Nord», scriveva Sciascia nel «Giorno della civetta», pubblicato quarantanove anni fa. E voleva dire che l’Italia si sicilianizzava, vulnerabile al contagio malavitoso e all’inquinamento del sentire civile. Ma ora il ministro Maroni, il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia e il suo omologo isolano Lo Bello, nel firmare il documento che impone agli imprenditori di rispondere all’imposizione del pizzo con la denuncia, non soltanto fa in mo- do che il contagio si arresti, ma che la metafora sciasciana della palma venga recepita al contrario: è la Sicilia che «civilizza» il Paese con un provvedimento che, se davvero applicato, se davvero praticato, spezzerà le gambe ai criminali della mafia, della camorra e della’ndrangheta.
Paradossalmente, la Sicilia si fa antidoto della malattia che ha diffuso. Ma un simile provvedimento va adottato nella convinzione che davvero lo Stato, in tutte le sue articolazioni, sia deciso a contrastare la violenza malavitosa, che davvero sia in grado di difendere coloro i quali diranno di no al pizzo, esponendosi alla rappresaglia.
Regole come quelle ora sottoscritte fanno onore alla civiltà, ma possono costare care. Su questo non vi debbono essere dubbi. E monaco di Mazzarino che, accarezzando il figlioletto del farmacista che si rifiutava di pagare il pizzo, diceva: «Quanto è bello, sembra vivo...», allora era immensamente più forte dello Stato. Siamo certi che oggi quel farmacista sarebbe totalmente protetto?
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