Se la satira è un po' razzista

Dalla Rassegna stampa

A proposito della vicenda dell'attentato - di molto probabile matrice fondamentalista islamica - al settimanale satirico francese Charlie Hebdo, il commento di Massimo Nava sul Corriere della Sera è interessante per due motivi contrastanti fra loro. Nava ha perfettamente ragione a porre il quesito se sia più stupido il provocatore o chi reagisce alla provocazione. Intendiamoci, è evidente che fra una vignetta e un incendio doloso la sproporzione balza agli occhi.

È vero però che la satira, come tutti i generi letterari, è giudicabile dai contenuti. Quella di Charlie Hebdo era greve esattamente come il film sull'Islam di Theo van Gogh era brutto. Ciò non vuol dire che chi ha ucciso il regista olandese non debba essere giudicato un fanatico tagliagole, che di una religione fa l'alibi di atti criminali. Dunque il commento di Nava mi parrebbe condivisibile se non chiamasse in campo la categoria della sana "laicità" evocata, secondo un vecchio imbroglio pretesco, contro il "laicismo". «Scherza coi fanti e lascia stare i santi», in parole povere.

No, si può scherzare anche coi santi, magari evitando di farlo con quelli di una minoranza. Per questo mi pare sbagliata l'equiparazione fatta con un programma trasmesso dalla televisione tunisina di Tarak Ben Ammar che, prima delle elezioni, ha irritato il partito clericale locale. Nesma tv si è comportata come un mezzo di informazione laico, Charlie Hebdo ha pubblicato una copertina non "laicista", ma un po' razzista.

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