Se rimini sembra Cernobbio

Dalla Rassegna stampa

 

Non ci sarà Mario Draghi, come l'anno scorso, «per il resto sembra di stare a Cernobbio, al workshop Ambrosetti, tradizionale e inarrivabile rentrée settembrina sugli scenari economico-finanziari globali», dice malizioso un imprenditore tra gli stand della Fiera di Rimini. In effetti a scorrere il parterre degli incontri, il «meno stato e più società» clima tipico di ogni kermesse ciellina sembra tradursi prosaicamente in «meno politica e più economia (e finanza)». Niente Giulio Andreotti, anche per l'età, niente Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani (per par condicio), ma tanti ministri di taglio economico, da Giulio Tremonti a Altero Matteoli a Maurizio Sacconi e soprattutto un bel pezzo di poteri forti e big boss di grandi gruppi multinazionali che faranno passerella in questi giorni. Domenica Corrado Passera ha praticamente aperto il meeting; ieri sera Giuseppe Mussari di Mps ha fatto la prima uscita ufficiale da presidente dell'Abi, dialogando con un altro banchiere ambizioso come Carlo Fratta Pasini (Banco Popolare); Fulvio Conti di Enel si è confrontato con Giuliano Zuccoli di A2A su energia, ripresa e nucleare; domani sarà invece la prima assoluta a Rimini nientemeno che di Cesare Geronzi, Mister Generali (discuterà con il leader di Confindustria Emma Marcegaglia), a seguire il dibattito tra il capo di Eni, Paolo Scaroni, con il ministro Tremonti. Mentre giovedì scenderà in Riviera l'attesissimo Sergio Marchionne e venerdì il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, e il potente capo delle fondazioni bancarie italiane, Giuseppe Guzzetti. Passando per l'ad di Trenitalia Mauro Moretti, quello di Siemens Federico Golla, quello del colosso Bombardier, Roberto Tazzoli e Sergio Dompè di Farmindustria.
Nel frattempo la mostra clou del meeting quest'anno è sulla crisi finanziaria: le cause, i cattivi maestri, e come uscirne più forti e più sani. Insomma profili, figure, personaggi e dibattiti in teoria più consoni a Villa Erba e al Lago di Como, dove da trent'anni i tanti sciur Brambilla del capitalismo diffuso padano, professionisti, finanzieri e imprenditori si ritrovano per abbeverarsi ai guru dell'economia e della finanza internazionale, molto spesso anglosassoni. La liturgia del primo weekend di settembre ha attraversato in lungo e in largo gli anni del reaganismo e della clintonomics, il turboliberismo egemone e la teoria dei mercati aperti e razionali nell'era della bella globalizzazione, quando per essere à la page in società (e a Cernobbio) bisognava emendarsi dai difetti atavici del capitalismo renano, ingessato da un Welfare elefantiaco e sprecone. Villa Erba per anni è stato lo specchio di questo milieu.
Poi è arrivata la crisi, i guru anglosassoni sono caduti dal piedistallo, e i nostri difetti, italiani ed europei (il piccolo è bello, l'arcaismo delle nostre banche poco finanziarizzate, la mano pubblica ancora estesa e il Welfare spesso informale che fa da materasso contro lo tsunami), all'improvviso sembrano diventare punti di forza, non senza una pericolosa autoassoluzione del carattere nazionale. Negli anni del tremontismo si riscopre il valore dell'economia di comunità e dello Stato imprenditore, la coesione sociale torna un valore primario insieme al dono e alla gratuità (ne ha parlato ieri proprio al meeting l'economista Luigi Campiglio), la Cattolica dei Quadrio Curzio e dei Marco Fortis «sorpassa» nell'immaginario degli addetti ai lavori l'americana Bocconi dei Giavazzi, Tabellini e dei Boeri, per buttarla nell'agone nostrano, con una punta di provincialismo che tanto piace ai giornali.
È un intero côté certamente più in sintonia con il modello Meeting che non con Cernobbio, che resiste e resta una vetrina immancabile, intendiamoci (settimana prossima ci andranno tutti), ma il solo fatto che molti big dell'economia abbiano scelto Rimini per la prima uscita, rivela la fine di un mondo di finanza apolide «cannibalizzato» dal lobbying degli «amici» ciellini. Anche se poi il Diavolo potrebbe aver fatto le pentole ma non i coperchi e la riscossa arrivare, un'altra volta, dalla solita America. Rimettendo al centro quel dinamismo schumpeteriano spesso vituperato. Lo fa capire paradossalmente un banchiere di sistema come Corrado Passera, quando dice che van bene coesione sociale e i conti pubblici a posto ma se non si torna a crescere non riparte l'occupazione e si rischia di dover smantellare il nostro Welfare. Ma soprattutto lo racconta lo stesso Campiglio, ragionando sulla carità in economia. «Come far funzionare e valorizzare il rapporto tra filantropia e mercato dopo la crisi peggiore dal Dopoguerra», si chiede da Rimini l'economista? Bene, nei darwiniani States proprio di questi tempi, «assistiamo ad innovazioni straordinarie. Anche nel 2009 il totale donazioni è valso il 2% dell'intero Pil e recentemente un uomo di mercato e Borse come Warren Buffett ha lanciato una sfida solenne: donare almeno il 50% del proprio patrimonio (egli, per parte sua, donerà in beneficenza il 99%) a chi per il gioco della vita è rimasto con lo stoppino in mano, e rischia di bruciarsi...». Quaranta miliardari tra cui Bill Gates hanno già aderito. La corsa promette di mettere insieme cifre da prodotto lordo annuo di un medio Paese del mondo. Come la mettiamo, vecchia Europa?

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