Se il Presidente della Camera fa anche politica

Ma davvero, come dice Berlusconi, il presidente della Camera deve astenersi dal far politica? A giudicare dal modo in cui finora è stato interpretato il ruolo, non si direbbe. E non solo per il precedente immediato di Casini, che ha svolto con grande personalità, non solo polemica, i suoi compiti di terza carica dello Stato. Da un sommario esame del comportamento dei predecessori di Fini, si ricava un inventario piuttosto variegato. Certo, c’è stato anche chi ha preferito tacere: Leone si sentiva tutto sommato un esterno alla Dc e sapeva che in quel partito l’importante era trovarsi al momento opportuno al giusto crocevia tra le correnti, come accadde a lui quando diventò Presidente della Repubblica.
Ingrao, primo presidente comunista, amava le piazze e la gente del suo partito, mal sopportava la grisaglia presidenziale. Ma già Gronchi, Pertini e Scalfaro, anche loro approdati poi al Quirinale, non rinunciarono mai a battersi contro i partiti (non solo i loro) e i governi con cui si confrontavano. Il primo, in anni di doroteismo imperante nella Dc, guidava in modo malandrino la corrente di sinistra. ll secondo, famoso per il suo temperamento sulfureo, scendeva nel Transatlantico e parlava chiaro: come quando, accogliendo a otto anni dal terremoto i bambini del Belice nati nelle baracche, se la prese con Moro che stentava a riceverli a Palazzo Chigi. Il terzo aveva cominciato da vicepresidente una polemica storica contro la partitocrazia e l’usurpazione dei diritti del Parlamento, che portò Pannella a soprannominarlo il «Pertini Bianco». Iotti si comportò in perfetto stile togliattiano-istituzionale, ma senza nascondere la necessità di un ammodernamento del funzionamento del Parlamento e senza esitare, nella crisi del 1987, quando fu la prima donna a ricevere il mandato esplorativo dal Presidente Cossiga, a svolgere il suo compito autonomamente, e in silenziosa polemica, con Dc e Pci.
Con Napolitano siamo agli anni della caduta della Prima Repubblica e del cosiddetto «triunvirato» (con Scalfaro e Spadolini) delle prime tre cariche istituzionali, che affrontano insieme i passaggi più delicati della crisi. Scalfaro confermerà questo metodo anche con Scognamiglio e Pivetti, i primi due presidenti
eletti dal centrodestra, nella controversa ratifica del «ribaltone» che fece cadere il primo governo Berlusconi. E per finire, fu Bertinotti a dare il colpo di grazia al governo Prodi parlandone come del «più grande poeta morente».
Fini con questi esempi alle spalle ha di che regolarsi e con chi sentirsi in buona compagnia.
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