Se Philip Roth diventa un disertore

In Italia persino Philip Roth, il grande Philip Roth verrebbe considerato un disertore. Un «terzista», addirittura. Un «tiepido», ed è noto che, nel quartier generale giacobino, i «tiepidi» erano considerati meritevoli della ghigliottina quanto e più dei nemici dichiarati. Ma come osa, lo scettico Philip Roth, a dirsi in una conversazione pubblicata da Libero un obamiano deluso, un democratico che si era appassionato per l’Obama capace di «risvegliare l’America dal suo torpore», di «dare vitalità e slancio a chi lo ascoltava» e che ora considera la politica del «suo» presidente «il nulla», «la banale quotidianità del potere»?
Ma per fortuna (dell’America) l’America non è l’Italia. Lì la critica al proprio presidente è normale consuetudine. Qui siamo un po’ più primitivi. E dogmatici. Qui si appartiene in toto a qualcosa ed è disdicevole minare la compattezza monolitica della propria parte. Qui persino Philip Roth dovrebbe, prima di parlare, rispondere alla formula rituale del catechismo bipolarista (all’italiana): cui prodest?
Non: questa cosa è vera, giusta, buona, condivisibile? Ma: non fai forse il gioco del nemico, non ti presti a manovre che sabotano il nostro schieramento? Non capisci che il problema è un altro, tuonerebbe spazientito Eugenio Scalfari, il più autorevole e intransigente nella guerra santa al «terzista» che, opportunisticamente, si acquatta nell’ombra? Qui schierarsi è una volta per tutte. Un atto di fede, più che l’adesione razionale a una parte. Negli Stati Uniti i giornali e gli intellettuali, più avvezzi di noi alla pratica virtuosa dell’alternanza democratica, non è che siano meno battaglieri e appassionati. Solo che non fanno sconti a nessuno, compresa la propria parte. Non si sentono investiti della missione salvifica di sradicare il Male incarnato nell’occasionale nemico. No, incalzano i governi, tutti i governi, con il metodo della prova empirica. Presidente Obama, sei sicuro che esigere la pena di morte per i terroristi dell’11 settembre sia meglio che chiudere (parzialmente) Guantanamo? Presidente Obama, non pensi che in Afghanistan la strategia americana abbia il fiato corto, che l’Iran si stia armando impunemente, che nel compromesso sulla riforma sanitaria sia sbagliato escludere l’aborto dalle prestazioni coperte dall’assicurazione per tutti? Domandine così. Magari non dieci, ma insomma, domande ficcanti, delicate. «Scomode» come si dice.
Invece no, in Italia no. In Italia il bipolarismo viene inteso come una frontiera antropologica che separa irriducibilmente il mondo dei buoni da quello dei malvagi. Con questo corollario: che ogni parola spesa non per espellere i malvagi, ma addirittura per mettere in discussione il Bene, viene considerata un lusso deplorevole, un indizio di scarsa combattività militante. Una diserzione, appunto. Meglio, molto meglio Philip Roth.
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