Se l'euro si regge sul comma 22

«Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di guerra. Ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di guerra non è pazzo». La situazione attuale dell'area euro ricorda la ben nota trovata centrale del romanzo «Comma 22» di Joseph Heller, che nel 1961 provò a raccontare la Seconda guerra mondiale in chiave di umorismo nero, ed ebbe grande successo. Ovvero: i mercati non smetteranno di speculare al ribasso sul debito della Grecia finché non saranno certi che la Grecia non farà bancarotta fra 3 anni, alla scadenza del fondo di salvataggio europeo (Efsf) creato nella primavera scorsa. Però se la Grecia, e altri Paesi in difficoltà, potessero contare su un meccanismo permanente di soccorso, forse se la prenderebbero comoda con i sacrifici necessari a risanarsi.
Entrambe le tesi hanno una valida logica interna. Nel dibattito dietro le quinte di questi giorni, la prima è sostenuta dalla Banca centrale europea, la seconda soprattutto dalla Germania (un altro preoccupante caso di divergenza fra l'unica istituzione davvero federale e il Paese più forte). Non è facile trovare il bandolo, come si usa dire; pur se Jacques Delors, Tommaso Padoa Schioppa e altri sostengono che lo si può trovare. Il problema è centrale pur se l'Irlanda continua a ripetere che non chiederà il soccorso dell'Efsf, e il Portogallo tenta di evitarlo. Insomma, lo spauracchio dei mercati è in realtà utilissimo per costringere la politica a rigare dritto, oppure in una fase di crisi come questa mercati distorti dall'ansia, oltre che inebriati dal denaro facile, inducono disastri altrimenti evitabili? Di fronte a misure davvero pesanti come quelle adottate dalla Grecia, e alla nuova stretta verso cui si avviano Irlanda e Portogallo, viene da domandarsi quali mai sacrifici potranno placare il Moloch che sottopone questi Paesi a tassi di interesse da strozzo (seppur calati nella giornata di ieri). Potrebbe aiutare la riforma del Patto di stabilità europeo che si sta discutendo; mai negoziati stanno prendendo una strana piega. È una buona notizia per l'Italia che le nuove regole non ci costringeranno a pesanti manovre correttive per accelerare la riduzione del debito pubblico. Ma non pare una buona notizia per l'Europa il modo con cui ci si sta arrivando, con un testo che all'apparenza stabilisce traguardi ambiziosissimi, poi grazie ai codicilli non cambia granché. Da italiani, capiamo bene di che si tratta: leggi falsamente severe consentono ampio arbitrio alle burocrazie per essere forti con i deboli e deboli coni forti.
Le regole attuali vanno abbandonate non solo perché la Grecia è riuscita a eluderle, ma perché non avevano fatto suonare nessun allarme per l'Irlanda e per la Spagna. Scrivere regole nuove non è facile, per seri motivi tecnici, e soprattutto se non si risponde a una domanda politica, se la Germania sia soltanto l'esempio da imitare o non anche l'altro piatto di una bilancia che non sta in equilibrio. Soluzioni poco chiare saranno pagate da tutta l'Europa con una dose più elevata di austerità imposta dai mercati. E dopo il documento pubblicato dal Fondo monetario internazionale ieri, c'è poco da indorare la pillola. Inutile illudersi: non regge la tesi che una manovra ben fatta di tagli alla spesa possa in breve rilanciare l'economia, avanzata da alcuni economisti tra cui gli italiani Alesina, Giavazzi e Perotti, e fatta propria dal presidente della Bce Jean-Claude Trichet. L'Fmi dimostra che nelle condizioni attuali, tassi di interesse già quasi a zero e molti Paesi che risanano i bilanci allo stesso tempo, nei primi anni soffriremo assai. I vantaggi ci sono, ma si vedranno dopo.
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