Se il leader offre il suo corpo

Dalla Rassegna stampa

Ogni tanto Silvio Berlusconi scende da Palazzo Grazioli e passeggia per chincaglierie. Preso da noia si avventura nelle strade del centro, si intrufola persino nelle sedi del Partito democratico. Si intrufolò in quella storica, ex comunista, di via dei Giubbonari e ne scaturì un’accesa discussione calcistica. Terminate le manifestazioni pubbliche, quella del 2 giugno per esempio, rincasa a piedi e ci mette un’ora e mezzo per coprire trecento metri perché gli va di salutare tutte le vecchiette e tutti i giovanotti e tutte le mammine coi pupi - e stringe mani e bacia guance e racconta le barzellette.

Da qualche tempo ci si domanda quanto andrà avanti questa storia. Che sarebbe successo se il fotografo col teleobiettivo ai margini di villa Certosa fosse stato un killer col fucile? Se l’amichetta barese col registratore fosse stata una terrorista con la bomba? Se lo squilibrato con la miniatura del Duomo fosse stato un nuovo Alì Agca? Quanti altri pazzoidi armati di souvenir aspetteranno Berlusconi dietro l’angolo nell’ultimo slancio di carnale congressualità?
Il patto fra lo statista e lo Stato è un patto siglato sul corpo. Lo statista consegna il corpo allo Stato perché è con la fatica del corpo che attende alle necessità dello Stato; in cambio, lo Stato protegge quel corpo con le scorte armate, le auto blindate, i palazzi invalicabili anche alle migliori bionde sul mercato. Finché lo statista rimane in carica, il suo corpo è dedicato allo Stato ed è nelle disponibilità dello Stato. Tutto questo, ovviamente, per Berlusconi non vale. Per uno come lui - riluttante al protocollo, nemico dichiarato delle triangolazioni fra poteri, dell’istituzionale che conduce all’impersonale - il corpo non si offre allo Stato ma al Popolo. E allo Stato non si delega neanche la protezione: la scorta di Berlusconi, va da sé, è una scorta privata.
Nella cricca del capo da tempo si scambiano sensazioni e informazioni d’allarme. L’aria che tira è quella che tutti sanno. Che un giorno o l’altro sarebbe saltato fuori qualche demente, era un timore diffuso. Ma Berlusconi non ha voluto mutare abitudini: le ragioni per cui rifiuta di farsi cingere da nugoli di guardie e di farsi trasportare di peso da un posto all’altro, in fondo sono le stesse per cui diffida di ogni procedura, che sia di tribunale o di palazzo. Lui è un leader che esiste perché tale lo ha dichiarato il popolo, in un rapporto di amore e fascinazione rifuggito dall’intera Prima repubblica, molto più attenta alla sostanza che ai formalismi. Ma se dovete sottrarmi al mio modo di essere leader - ha detto nei giorni scorsi Berlusconi a chi gli consigliava di evitare tuffi nella folla e di infittire la protezione - mi negherete di essere un leader. Ed è soprattutto qui che il suo corpo ha un ruolo.
Domenica (ed è impressionante la somiglianza fra le foto del 2007, quando in piazza San Babila a Milano fondò il Popolo delle Libertà, e quelle di due giorni fa, quando in piazza Duomo ha offerto il suo corpo al popolo) Berlusconi è incredibilmente riemerso dallo stordimento. E’ ritornato su, sul predellino, furibondo e insanguinato. E’ una scena formidabile perché qualsiasi altro statista sarebbe rimasto sul sedile, lo avrebbero obbligato, e qualsiasi altra scorta avrebbe chiuso l’auto e se ne sarebbe andata all’istante. Qui succede l’assurdo: la scorta consente al premier di ritornare fuori, pochi istanti dopo l’attentato, in un clima di tensione e di inimicizia, fra i contestatori urlanti e nell’eventualità che i gesti di follia non siano esauriti. Berlusconi ritorna su, digrigna i denti rotti, fiammeggia dagli occhi, si mostra dolorante alla folla. Lo Stato - che avrebbe il dovere di proteggere quel corpo nell’interesse dello Stato medesimo - un’altra volta è sfacciatamente privato del suo ruolo.
Beh, insomma, Berlusconi aggira lo Stato, se ne infischia di tutte le quelle questioncine protocollari, perché ha da rinsaldare un patto col popolo. Qui non si tratta di tumore alla prostata né di malore sul palco. Non sono i segnali di cedimento che il mondo occidentale da sempre tende a nascondere perché se il corpo del leader è vulnerato, sono vulnerate la sua forza e la sua autorevolezza. Berlusconi lo sa, questa non è la malattia: questo è il sacrificio. Questo è il massimo che si possa offrire al popolo: il sacrificio del proprio corpo. Va bene per i contestatori, sfidati faccia a faccia, e va bene per i sostenitori, davanti ai quali rivendica le ammaccature. Naturalmente lo hanno firmato in piazza, e naturalmente è un patto di sangue.

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