Se i fuori onda aiutano la democrazia

Nel 2009, nel pieno di una grave crisi economica, il primo ministro ungherese Medgyessy confidò a un collega di partito che nella recente campagna elettorale, sulla situazione finanziaria del Paese «abbiamo mentito ai cittadini mattina, pomeriggio e sera». La conversazione privata, captata e pubblicata, fu la goccia che fece traboccare il vaso: l’indignazione e la rabbia resero insopportabile per i cittadini il peso della crisi e quel primo ministro dovette dimettersi.
Durante la campagna elettorale in corso negli Stati Uniti, il candidato repubblicano Romney è stato sorpreso a dire in una chiacchierata riservata a un gruppo di sostenitori che egli non si preoccupa di quel 47% di americani che sono dei parassiti dell’assistenza pubblica, naturalmente destinati a votare per Obama.
Un giornalista che si era intrufolato tra gli invitati ha pubblicato le frasi di Romney, che sono entrate nel dibattito politico.
In Italia pochi giorni or sono una frase sulla democrazia interna al Movimento 5 Stelle, pronunciata da Giovanni Favia, consigliere regionale, dopo una intervista televisiva e senza accorgersi che i microfoni erano ancora aperti, ha determinato il nascere di una forte polemica sulla struttura e il funzionamento di quel movimento politico.
Tre episodi diversi, accomunati dal fatto che è stato reso pubblico ciò che i personaggi politici che ne sono stati autori pensano veramente, hanno detto in privato e non avrebbero mai detto pubblicamente. Ciò che i cittadini non debbono sapere!
Ma in democrazia tutto ciò che appartiene o incide sulla vita pubblica deve poter essere noto ai cittadini. La democrazia è il regime della trasparenza e pubblicità; la dittatura vive di segreto. In democrazia l’area del segreto dovrebbe essere minima e riservata alle sole informazioni la cui conoscenza potrebbe mettere in pericolo la sicurezza. E invece, spesso richiamando il diritto delle persone alla protezione della loro vita privata, si pretende di restringere il diritto dei cittadini a ricevere le informazioni. Nella pubblicazione dei «fuori onda», nella pubblicazione cioè di ciò che vien detto senza intenzione di vederlo poi sui giornali, in televisione o su Facebook, l’imbarazzo dei protagonisti si accompagna spesso alla protesta per la violazione del loro diritto. Naturalmente una simile protesta ha fondamento nei casi in cui il dialogo tra la persona e il giornalista è accompagnato dall’accordo sulla sua natura confidenziale. Il tradimento dell’accordo violerebbe il dovere di lealtà nella raccolta delle informazioni, che è parte della deontologia del giornalista. Ma quando il patto di riservatezza non esiste e la notizia è di pubblico interesse, il diritto di informare e il diritto di ricevere le informazioni richiede che il pubblico non sia privato della notizia. Correttamente i fotografi che operano, spesso con formidabili teleobiettivi, dalle tribune delle aule parlamentari hanno risposto alle proteste di deputati sorpresi nel sonno o nel pieno di una partita a carte, accettando limiti alla loro attività solo per ciò che non è essenziale al diritto di cronaca e ha carattere esclusivamente privato.
Il discrimine tra diritto e dovere di informare e diritto al rispetto della vita privata è legato alla natura della notizia. Se essa riguarda il dibattito pubblico, soprattutto politico, e il protagonista è una persona pubblica, come un parlamentare o un candidato alle elezioni, un governante o un amministratore pubblico, non c’è protezione di riservatezza privata perché si è fuori del privato. Per cogliere l’importanza della condizione relativa all’interesse per il dibattito pubblico, si pensi al recente caso delle fotografie della principessa Kate pubblicate per corrispondere alla semplice curiosità pruriginosa dei lettori (e al gusto di umiliare una donna privilegiata). Giustamente un tribunale francese ne ha vietato la pubblicazione, in linea con la Corte europea dei diritti dell’uomo che si era già pronunciata su un caso di violazione della vita privata della principessa Carolina di Monaco. Non basta quindi che la notizia riguardi una persona pubblica. Bisogna che la notizia sia di interesse pubblico, nella dinamica propria della democrazia e del dibattito politico e culturale che la sostiene. Nei casi sopra ricordati e in tanti altri simili la rilevanza della notizia consiste prima di tutto nel fatto che essa svela la menzogna e il tradimento dell’obbligo di verità nei confronti dei cittadini. Giustamente nella vicenda del rapporto di Bill Clinton con Monica Lewinsky, ciò che venne in discussione fu il dovere del presidente di non mentire. Il resto tutto sommato non interessava.
La pubblicazione delle frasi sfuggite ai protagonisti della vita pubblica, anche contro il loro interesse a mantenerle segrete, apre uno spiraglio, minimo ma non irrilevante, sullo scarto che c’è tra la realtà e ciò che ci viene raccontato. Su ciò che ci viene raccontato si formano le opinioni politiche di ciascuno ed il comportamento elettorale. Che ogni tanto un giornalista abile o fortunato pubblichi le verità dal sen fuggite degli attori della vita pubblica, se non vale a ridurre l’eccessivo segreto che avvolge la politica e gli affari dello Stato, almeno immette nel sistema il dubbio che ogni tanto, prima o poi, la verità possa venire in luce.
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