Se a fare notizia è solo la violenza

Dalla Rassegna stampa

 

Solidarietà con Raffaele Bonanni per l'aggressione subita a Torino? Neppure a discuterne: solidarietà totale, incondizionata, senza "se", e senza "ma". Condanna e rifiuto nel modo più deciso e radicale dell'azione squadrista di imbecilli energumeni che credono di fare la rivoluzione e rivelano invece solo e unicamente quanto sono integralmente cretini? Anche questo è fuori discussione. Detto e ribadito tutto questo nel modo più netto e inequivoco, una riflessione. L'aggressione di quei teppisti ha avuto ampio risalto, nei notiziari dei TG e sui quotidiani; ed è evidente che un episodio di questa gravità non va e non può essere sottovalutato, ignorato, taciuto. Al tempo stesso, quei farabutti in queste ore gongoleranno: per l'esposizione mediatica che si sono guadagnati con la loro aggressione.
Naturalmente non ci penso neppure un istante, che si debba "staccare la spina", per usare la nota espressione di Marshall McLuhan; tutt'altro: bisogna parlare, raccontare, riflettere e cercare di capire perché possono accadere fenomeni di questo tipo; senza che questo significhi la minima indulgenza o giustificazione. Le manifestazioni di violenza, per il solo fatto di essere tali, vanno condannate, isolate. E ognuno di noi va messo di fronte alle sue responsabilità.
Come giornalista, sento di averne, e provo a spiegarmi. In queste settimane è in corso una silenziosa e silenziata, pacifica, nonviolenta manifestazione di protesta da parte di decine di precari della scuola: conducono uno sciopero della fame, e stazionano in questa o in quella piazza. Non voglio qui discutere se siano fondate o no le loro rivendicazioni.
Osservo solo che è una protesta, come ho detto, pacifica, nonviolenta; è per questo ha una scarsissima eco mediatica? Ho fatto il caso dei precari, ma potrei fare l'esempio delle carceri: quasi ogni giorno gli agenti della polizia penitenziaria, da mesi, oggi in un carcere, ieri in un altro, si astengono dal cibo, manifestano pacificamente nelle ore in cui non sono in servizio; e con loro i detenuti: che anche loro digiunano, battono le stoviglie sulle sbarre delle celle, cercano di richiamare la nostra attenzione sulle condizioni allucinanti in cui sono costretti a vivere; eppure, quando va bene, guadagnano uno scarno trafiletto in un fondo di pagina. Neppure quando, disperati, si tolgono la vita, fanno "notizia". Agli onori della cronaca balzano sempre e solo quando si rendono protagonisti di un qualche episodio violento. Quel che voglio dire è che il pacifico, il nonviolento, il mansueto, viene sistematicamente, quasi programmaticamente ignorato. Marco Pannella, i radicali, sul cui conto può essere imputato tutto e di più, ma non un solo episodio di violenza in cinquant'anni della loro storia, per fare "notizia" devono condurre onerosi e pericolosi scioperi della fame e della sete.
Quel che voglio dire è che, come categoria, mi sento colpevole di una sorta di istigazione a delinquere: se sei pacifico e nonviolento, non ti considero "notizia"; se al contrario ti rendi protagonista di un gesto violento, concedo il massimo della visibilità e della conoscenza: "ieri", se un terrorista sparava, non solo raccontavo la cronaca del fatto con tutti i particolari, ma pubblicavo anche, spesso integralmente, i documenti che teorizzavano quella violenza; e "oggi" è la stessa logica.
Ripeto: è giusto dare il massimo risalto, e condannare nel modo più deciso, aggressioni odiose come quella subita da Bonanni; però se dedico ampio spazio a queste aggressioni, e nessuno spazio a chi invece non è violento, il messaggio che di fatto do è: se vuoi essere conosciuto, se vuoi apparire, se vuoi che gli altri sappiano di te, spara ragazzo, sii violento, aggredisci, picchia... Ecco: non è forse il caso di cominciare a cambiare registro? lo penso che questo momento sia giunto, e che il nonviolento abbia, finalmente, almeno lo stesso spazio, la stessa possibilità di conoscenza e visibilità che viene dato ad imbecilli criminali che sono i migliori alleati e sostenitori di quelle cause che dicono di voler combattere.

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