Se la ex tessera n.1 del Pd vuole ridurre le tasse

Dalla Rassegna stampa

Tassare il passato non il futuro. Liberare la voglia di lavorare per guadagnare un po’ di più, anziché constatare che più lavori più paghi. Carlo De Benedetti, in un bell’articolo sul Foglio di ieri, avanza proposte radicali (e ragionevoli) per liberare gli italiani che lavorano, soprattutto quelli che, a cominciare dai lavoratori dipendenti, le tasse le devono pagare per intero da una parte del peso fiscale. Ottenendo così il duplice obbiettivo di ridurre i costi per le imprese e lasciare qualche euro in più nelle tasche di chi lavora. Le proposte che avanza per liberare le risorse necessarie sono essenzialmente due.
Primo: ridurre la spesa pubblica, attraverso un allungamento dell’età pensionabile e intervenendo sulla spesa per beni e servizi.
Secondo: spostare la tassazione dalle persone verso le "cose", sgravando quindi il carico fiscale sul lavoro per sostituirlo con imposte indirette sul consumo, che è la «manifestazione reale della ricchezza». Obbiettivi per altro allineati alle idee da tempo manifestate da Giulio Tremonti. Più un’accentuazione sulla possibilità di imposte "verdi" sui consumi più inquinanti, perfettamente condivisibile.
E anche De Benedetti si appella ai tre anni di relativa calma elettorale che abbiamo di fronte come a una finestra di opportunità da non lasciarsi sfuggire.
Vorrei solo aggiungere che, per quanto riguarda la spesa pubblica, oltre alle due misure indicate da CDB si dovrebbe lavorare per ridurre il Moloch della presenza pubblica. Ormai oltre i livelli di una repubblica del socialismo reale. Stato, Regioni, Provincie, Comuni, Circoscrizioni, Comunità montane più un’infinità di enti vari, più l’organizzazione interna di interi settori dell’Amministrazione pubblica. Aree dove, con le dovute differenze, la produttività del sistema continua a essere bassissima e l’organizzazione preistorica. Inoltre l’abolizione di qualche livello decisionale, oltre che produrre risparmi nei costi, eliminerebbe il vero cancro dell’Amministrazione. Gli enormi costi delle decisioni, gli oneri interni delle transazioni, che si moltiplicano nel palleggio fra cento organismi diversi, che esercitano, quasi esclusivamente, i loro poteri di interdizione. Vere e proprie "dogane" interne al sistema. Sarà l’applicazione del federalismo l’occasione per ridurre o un ulteriore moltiplicazione di poteri e sbarramenti? Guardando al passato l’ottimismo è eroico.
Ancor più giustificata appare l’altra proposta. De Benedetti cerca di tenersi lontano dal sospetto di volere tassare il "patrimonio". E fa riferimento quasi esclusivamente alle imposte sui consumi. Personalmente penso che potrebbe trattarsi anche di un mix fra le due cose. Abolire l’Ici è stato per esempio una grande sciocchezza. Per varie ragioni, ivi compreso l’indebolimento della finanza comunale. Ma oltre a questo si è finito per eliminare una delle poche basi imponibili certe, favorendo un’altra volta, di fatto, chi evade le imposte sul reddito. Molto meglio sarebbe stato utilizzare quelle risorse per abbassare le imposte sul lavoro, tutto il lavoro, dando speranza al futuro. Al contrario l’attuale struttura fiscale penalizza i redditi di chi lavora e non può evadere. Qualsiasi riforma fiscale non può prescindere infatti dall’altissimo tasso di evasione italiano. Da ridurre certo, ma nel frattempo? Se percentuali infime di italiani dichiarano redditi appena accettabili operare sulla riformulazione dell’imposizione fiscale verso l’alto, come continuamente si è fatto, significa aumentare le ingiustizie e le sperequazioni. Al contrario tassare ragionevolmente patrimoni e consumi, in cambio di un abbassamento delle aliquote Irpef o Ires, sarebbe anche un atto di giustizia fiscale. Resta da capire come reagirà, se reagirà, il centrosinistra alla proposta dell’ex tessera n. 1 del Pd, nonché "patron" del più importante gruppo editoriale "progressista". Per accettarle e lavorarci su dovrebbe prima di tutto liberarsi da due tabù. Innanzitutto quello relativo alla quantità della spesa pubblica, vista di per sé come fatto positivo, a prescindere da efficienza produttività. Ma è del tutto inutile rivendicare nuovi quattrini, anche in campi nobili come per esempio quello dell’Istruzione, dei Beni culturali o della Giustizia, se non si fa un ragionamento serio sulla produttività del sistema. Non faccio esempi perché sarebbe come prendere a sberle i bambini. Troppo facile. In secondo luogo deve rovesciare un’impostazione storica per la quale le imposte sul reddito sono la "madre di tutte le battaglie".
Recentemente il Pd ha chiesto di rifinanziare la Cassa integrazione con un’imposta straordinaria sui ricchi, vale a dire coloro che guadagnano più di 100.000 euro. Che fanno, dopo le imposte, circa 60.000 euro all’anno, 5.000 al mese. Un buono stipendio, ma considerarlo da persona ricca significa avere perso il senso della realtà. Inoltre come sappiamo essi rappresentano un’infima minoranza della popolazione italiana composta prevalentemente da pensionati di livello, dirigenti intermedi pubblici e privati e una sparuta pattuglia di liberi professionisti. Così a pagare sarebbe ancora una volta chi lavora e chi non può evadere. A meno che lavorare e guadagnare non sia considerato da quelle parti sterco del demonio.

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