Se era meglio «bamboccioni» che «sfigati»

Sembra un destino segnato. Il tecnico al governo inciampa su una battuta infelice a proposito giovanotti a carico della famiglia.
A Tommaso Padoa-Schioppa, che pure nella sua breve esperienza da ministro aveva rimesso ordine nella finanza creativa del suo predecessore e successore, nessuno perdonò la battuta sui «bamboccioni». Così ieri il più giovane, ma assai più mediaticamente smagato, vice ministro Michel Martone ha pensato bene di segnalarsi definendo «sfigati» gli universitari che a 28 anni non si sono ancora laureati.
Nel caso di Martone si voleva probabilmente invitare a maggiore rigore chi affolla con scarso profitto le università, senza considerare che non tutti "nascono bene" e più d'uno mentre studia fa qualche lavoretto per mantenersi e questo incide sui tempi. Ma la differenza fondamentale fra le due gaffe governative, grosso modo sullo stesso tema, sta forse nelle parole usate. Bamboccioni non è un complimento ma ha pur sempre una sua grazia, evoca una situazione redimibile. Sfigati è un termine feroce, oltre che stupido perché volgare nella sostanza prima e più ancora che nella forma, rivelatore di una concezione del mondo. Non a caso usato con una certa frequenza da Daniela Santanché in interviste e in interventi televisivi. Dunque di gran moda fino a poco tempo fa. Ma questo governo deve la sua autorevolezza anche all'aver girato pagina. Il vice ministro farebbe bene a comprarsi un loden.
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